Ponti sulle divisioni

Il suo primo incarico fu inatteso: a Old Mines (le vecchie miniere), si occupò di una povera comunità di minatori. Ma, appena qualche anno più tardi, gli fu richiesto di recarsi in missione in Bolivia, dove suo fratello maggiore era vissuto per nove anni. Un’idea attraente. La vita di parrocchia in quella piccola cittadina fuori della capitale La Paz scorreva intensa. Eppure egli trovò il tempo di dedicarsi anche a cinquanta comunità di campesinos che abitavano negli altopiani della regione. Non conosceva bene la lingua degli aymara, il nome di quelle popolazioni, ma si faceva capire. “I campesinos hanno una connaturale vicinanza alla natura – fa notare -. Ho imparato da loro a non prendere niente per scontato, e come ci sia bisogno di Dio in ogni nostra azione”. Dovendo affrontare assieme a loro le incertezze della vita e delle incertezze in agricoltura dovute al tempo, ha così sperimentato “il dono che è il lavorare insieme per affrontare le avversità. Ho scoperto che una difficoltà vissuta insieme genera rapporti profondi”. Gli aymara gli permisero di entrare nel loro stile di vita e di fargli scoprire che “quanto più si entra in un’altra cultura, tanto più si arriva a conoscere Gesù in un modo più completo”. Edward Schramm, “father Ed” per tutti, sacerdote dell’arcidiocesi di St. Louis in Missouri, è stato ordinato prete 33 anni fa. Aveva avvertito la vocazione ancora alle scuole elementari. Ma attribuisce ai suoi genitori la risposta affermativa alla chiamata. E anche ad alcune suore che abitavano nel suo stesso isolato, e che ogni domenica si riposavano passeggiando con loro. Quelle suore “venivano pure a fare slittino con noi, proprio come della gente normale “, dice ridendo father Ed. Cresciuti in quest’ambiente, ben tre dei sei figli Schramm hanno abbracciato la vita religiosa: una come suora e due come sacerdoti. I suoi primi incarichi sono stati in certo modo una preparazione all’incontro di father Ed con la spiritualità dell’unità, uno stile di vita evangelico che suscitò da subito un’eco profonda nel suo animo. “Mi attirava l’idea di vivere la parola di Dio, di essere chiamato all’unità, e la figura di Gesù abbandonato come ponte per costruire l’unità”. Aveva conosciuto qualcosa dei Focolari già prima di partire in Bolivia, ma fu solo al suo ritorno, nel 1992, che comprese quanto tale spiritualità lo riguardasse in prima persona. Tutto questo accadde poco dopo aver ricevuto un nuovo incarico non facile nella diocesi, come responsabile di una parrocchia in maggioranza afroamericana. “Quel che cerco di fare è di vivere tra due “fuochi” – spiega -: Gesù dentro di me e Gesù presente spiritualmente tra gli altri sacerdoti con cui condivido un gruppo del focolare. Questo e solo questo mi fa andare avanti”. E di problemi father Ed ne ha avuti, in questi ultimi anni. Poco dopo aver scoperto di avere un cancro, ha saputo che la sua parrocchia sarebbe stata eliminata. “Assieme ai parrocchiani abbiamo proposto di continuare ad operare come santuario o come cappella – spiega -. Ho fatto del mio meglio per persuadere i rappresentanti dell’arcivescovo, ma ho capito subito che non accettavano quest’idea. Mi sentivo inadeguato nel ruolo di portavoce dei miei parrocchiani, e provavo la tentazione di dare le mie dimissioni, per non dover affrontare tale doloroso momento per la parrocchia”. Temeva infatti che i parrocchiani organizzassero una protesta che avrebbe causato risvolti negativi, provocando rancori e divisioni. “Ho persino temuto – ammette – che alcuni parrocchiani decidessero di lasciare la Chiesa cattolica “. Father Ed non riusciva a trovare le parole adatte per comunicare la chiusura della parrocchia: “Ricordo di aver pensato che se mi fossi semplicemente abbandonato a quel fuoco di Gesù presente tra noi sacerdoti, la luce e la sapienza necessarie mi sarebbero arrivate. Così ho fatto e così è stato”. Riuscì a superare il senso di impotenza provato durante il periodo di cure a cui si dovette sottoporre, e si preparò ad aiutare i parrocchiani ad affrontare l’incertezza del loro “futuro comunitario”. L’area residenziale dove vivevano era stata in effetti acquistata per allargare un aeroporto: non solo avrebbero perso la parrocchia, ma anche la casa e il rione. “Ogni domenica ho trovato parole nuove per far capire ai miei parrocchiani che Gesù sulla croce aveva sperimentato un senso di abbandono e di perdita in tutto simile a quanto provato da loro. Dio, nel suo amore, avrebbe tirato fuori qualcosa di nuovo da questa vicenda. Non avevo altro messaggio da dar loro. È stato incoraggiante per me vedere con quale fiducia lo hanno accolto”. È stato questo stesso messaggio che ha aiutato molti parrocchiani a superare ferite provocate dal razzismo nel passato, e che si riaprirono durante tutta la crisi ultima. “Ho la tendenza naturale a cercare di risolvere i problemi cercando di studiare bene tutti gli elementi e trovare una soluzione – father Ed continua -. Così prego sempre: “Signore, prendi il mio niente perché possa essere uno strumento nelle tue mani”. Mi chiedevo spesso se mai sarei riuscito a sanare quelle profonde ferite”. Decise così di abbracciare questo senso di impotenza, pensando che Gesù doveva aver sperimentato qualcosa di simile sulla croce. E l’amore alla fine ha vinto: “I parrocchiani con cui ho sperimentato i disaccordi più grandi, sono ora tra i miei più cari amici”, spiega con soddisfazione. Rimaneva il problema del futuro della comunità. Il progetto di riunirla con un’altra parrocchia in prevalenza bianca era caduto nel nulla; anzi, numerosi parrocchiani avevano rifiutato quel piano considerandolo un ulteriore motivo per aumentare il razzismo. Per risolvere la situazione, si è chiesto a quattro parrocchie limitrofe di andare incontro ai parrocchiani di father Ed, invitandoli a partecipare alle loro celebrazioni domenicali. Stranamente, molti parrocchiani scelsero proprio quella parrocchia da cui si erano precedentemente sentiti rifiutati, grazie al caloroso invito del nuovo parroco e agli auguri natalizi che i suoi parrocchiani inviarono personalmente a ciascuno. Father Ed si è ristabilito, e ora lavora in una delle quattro parrocchie con un nuovo incarico: “Scopro ora – dice – quanto lo Spirito Santo usi i miei ex-parrocchiani per portare il dono della loro cultura afroamericana per il rinnovamento della chiesa nella città di St.Louis”. La fede e la passione per la sua vocazione non è venuta meno a father Ed nemmeno durante il periodo di scandali dello scorso anno, in cui i media avevano il mirino puntato sulla cattiva condotta di alcuni sacerdoti. “Penso che anche nei momenti più duri, anche in situazioni di scandalo, dobbiamo vedere con gli occhi della fede che esiste la potenza redentrice della croce. Questa realtà mi dà la possibilità di continuare a vivere nella pienezza della gioia”.

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