Pompei: ciò che passa, ciò che resta
Nonostante gli ultimi crolli, l'area archeologica resta uno dei tesori più preziosi d'Italia. Un viaggio tra sacro e profano nella città della Madonna del Rosario.
Nonostante la manutenzione carente e i crolli delle ultime settimane, Pompei è davvero unica. Accanto alla antica città dissepolta si espande – senza quasi soluzione di continuità – la nuova, il cui nucleo è il celebre santuario mariano eretto dalla fede del beato Bartolo Longo. Mentre un flusso incessante di visitatori da tutto il mondo scorre con disinvoltura dal tempio cristiano alla città pagana e viceversa. Non senza, magari, uno sguardo incuriosito alle bancarelle dove sacro e profano si mescolano con incredibile noncuranza: sicché è facile scorgere un bronzetto del "fauno danzante" ammiccare tra una profusione di rosari, o alternarsi icone mariane e immagini osé di antichi affreschi.
Scandalizzarsi? Forse. Ma più per il gusto kitsch di certi moderni souvenir. Del resto, la Madonna è abituata a mostrarsi anche nei luoghi meno indicati, come prova di materna sollecitudine verso i suoi figli più disastrati. Piuttosto, la costante compresenza, a Pompei, di queste due anime – tra l’incombere ammonitore, sul fondale, di un Vesuvio soltanto "in riposo" – può indurre a salutari riflessioni. Dallo spettacolo, infatti, della fiorente città pagana con le sue vittime tragicamente atteggiate dove e come la morte le ha colte, viene spontaneo dedurre la transitorietà di ogni realtà terrena, mentre Dio solo resta. E ciò con più efficacia, forse, di qualsiasi predica si possa udire nella stessa basilica.
Non per niente, a proposito di questo tempio dedicato alla Vergine, nella sua Lettera sul rosario Giovanni Paolo II dà un insolito rilievo ai «resti dell’antica città, appena lambita dall’annuncio cristiano prima di essere sepolta nel 79 dall’eruzione del Vesuvio, ed emersa secoli dopo dalle sue ceneri a testimonianza delle luci e delle ombre della civiltà classica».