Una buona legge elettorale. Intervista a Pombeni

Intervista al noto politologo sul fallimento dell’accordo sul modello simil tedesco. Si può fare una riforma non dettata solo da calcoli di convenienza ma da una visione di lungo termine? Un parere sull’appello del Mppu
ANSA/ANGELO CARCONI

Il modello cosiddetto tedesco che Iole Mucciconi ha esaminato nel dettaglio su Cittanuova.it si basava su un accordo tra i maggiori partiti (Pd,Lega, M5S, Forza Italia) che sembrava di acciaio, ma è saltato al primo voto in aula.  Esiste sempre il sospetto di un’ intento simile al porcellum, il sistema elettorale ideato apertamente dal leghista Calderoli  per mettere in difficoltà gli avversari. Anche l’Italicum, come sappiamo, presentato come un modello degno di imitazione da altri Paesi, non ha retto il giudizio della Corte Costituzionale

Con il professor Paolo Pombeni, che è uno dei maggiori esperti in materia, autore da ultimo di un testo importante su “La questione costituzionale in Italia”, partiamo proprio da un quesito che riporta alla politica nel suo fondamento di fiducia possibile tra forze contrapposte.

Si può davvero fare un testo non programmato ad una strategia di consenso ritagliato sulle esigenze di chi lo propone?

Senza cadere nell’utopia di chi pensa che si possa progettare una legge elettorale col famoso “velo dell’ignoranza”, cioè senza fare calcoli su cosa ne verrebbe fuori e quali ricadute avrebbe sui partiti che la approvano in parlamento (sarebbe pretendere troppo dalla natura umana), si può ritenere che sia possibile avere delle leggi elettorali che invece di puntare al consolidamento delle rispettive enclaves di consenso abbiano in mente di aprire occasioni per conquistare fasce vaste e composite di elettorato.

Sono queste le migliori leggi elettorali perché puntano con coraggio sulla scommessa di potere convincere quote ampie della cittadinanza sulla bontà o meno delle proposte che ciascuna forza politica mette in campo.

Quali partiti possono proporsi questo obiettivo?

È necessario avere, se posso metterla così, “partiti ambiziosi”, cioè convinti che un sistema aperto venga a loro vantaggio perché gli elettori sono in grado di scegliere in maniera un minimo razionale il meglio.

Questi sono in genere i sistemi elettorali di tipo maggioritario, dove chi compete si sente sia adatto a vincere, sia capace di resistere se perde, in vista di un turno successivo in cui potrà dimostrare alla prova dei fatti quanto le sue proposte erano migliori di quelle del passato vincitore.

In genere i sistemi proporzionali invece non vedono la presenza di forze politiche con mire veramente “espansive”. Ciascuna vuole piuttosto misurare lo spazio del proprio “orticello”convinta che per varie ragioni (etniche, ideologiche, religiose, di classe, ecc.)le proprie “pecore” non possano andare a pascolare in orti limitrofi.

Che idea si era fatto del modello simil tedesco partorito dall’accordo dei 4 (Pd, Fi, Lega, M5S) franato nel primo voto alla Camera?

Il modello sembra sia stato andato all’aria, ma possiamo egualmente continuare a valutarlo. Era partito da una intuizione condivisibile e poi si è perso per strada per venire incontro ad esigenze dei vari partiti. L’intuizione condivisibile era unire, come nel modello tedesco a cui si ispirava, la compresenza di un meccanismo che invitava gli elettori a scegliere valutando direttamente le qualità dei singoli candidati (il collegio uninominale) con un altro che consentiva uno schieramento basato su orientamenti programmatici che si valutavano a livello di politica nazionale (il voto alla lista, cioè al partito).

Cosa è accaduto invece ?

Purtroppo un eccesso di furberie tattiche e di preoccupazioni di posizionamento ha impedito di organizzare il sistema in maniera razionale, cioè di far convivere fianco a fianco una metà di deputati espressi dai collegi con l’uninominale (dove ovviamente non avevano senso soglie di sbarramento) con una metà determinata sulla base di un sistema proporzionale, qui sì con il ragionevole sbarramento del 5%. Il terrore che un uninominale indipendente favorisse sistemi di notabilato di collegio (o peggio) ha portato al pasticcio del voto unico per lista e collegio, mentre nel proporzionale il sistema delle liste pur corte (ma già il passaggio da 4 a 6 nomi aveva poco senso) ha dato fiato ad una infondata polemica sui “nominati” per l’assenza delle preferenze. Da un punto di vista puramente tecnico, vorrei far notare che con le preferenze il problema non si risolve, perché si consente semplicemente all’elettore di scegliersi un “nominato” al posto di un altro, visto che i nomi da inserire negli elenchi vengono comunque decisi dai partiti.

Il sistema poteva essere migliorato?

Certamente in corso d’opera c’erano state migliorie significative rispetto ad alcune “furbate” iniziali. Si era eliminata la possibilità che gli eletti nell’uninominale non venissero poi convalidati per far posto ai capilista del proporzionale (ma lo si è ottenuto  al prezzo di ridurre il numero dei collegi) e si era cancellata la possibilità delle pluricandidature nel proporzionale.

Si sarebbe potuto andare avanti e magari arrivare ad inserire il voto disgiunto, cioè la possibilità del voto a livello di collegio a chi era proposto da una lista diversa da quella che si sarebbe scelta nel proporzionale, sebbene questo spaventasse molti partiti, perché li avrebbe costretti a candidare nei collegi personalità che potevano pescare oltre il loro recinto.

Alla fine però si è avuto paura, soprattutto che nonostante le difficoltà il Pd di Renzi potesse confermarsi come l’unica forza di governo in grado di aggregare nel nome di una governabilità accettabile e senza troppi rischi, per cui si è scelto, irresponsabilmente, di far saltare il banco.

 Cosa ne pensa dell’appello lanciato dal Movimento politico per l’unità ?

L’appello è condivisibile per quanto lo trovi un tantino scontato. Certamente l’istanza di promuovere “la tutela e la solidità delle istituzioni” così come quella che chiede “una maggioranza e un governo stabile” e un contesto che non rompa “il delicato equilibrio fra governabilità e rappresentanza” colgono tematiche centrali e largamente sentite, in forme più o meno coscienti, da larghissima parte della cittadinanza.

Il problema è che si dovrebbe fare uno sforzo per indicare con quali strumenti concreti si possono raggiungere questi obiettivi, perché altrimenti i partiti diranno di condividerli e in pratica li aggireranno.

Quanto al punto sul rendere responsabili i cittadini rispetto alla scelta dei singoli parlamentari bisogna articolare meglio. Sono dubbioso sul fatto che l’introduzione delle preferenze in voti di lista sia una scelta che evita i “nominati”, per la semplice ragione che i nominativi inseriti nella lista sono tutti comunque nominati (scelti) dai partiti. Le preferenze servono solo a consentire che quote limitate di elettori (la maggioranza vota senza esprimere preferenze) possano inserirsi nelle lotte interne ai partiti. Ma promuovere questi scontri di fazione non lo trovo un gran risultato.

Quali sono, a suo giudizio, i punti centrali da rispettare in materia secondo Costituzione?

Il punto irrinunciabile è che il sistema sia congegnato in modo tale da non consentire che la volontà espressa dall’elettore sia manipolata in senso negativo in fase di traduzione dei voti in seggi. Dunque l’elettore deve sapere chiaramente per chi vota, essere sicuro che il voto che dà ad X non venga poi passato ad Y (singolo o lista che sia). Di conseguenza nel caso specifico niente aggiramento delle designazioni che emergono in collegi uninominali e niente pluricandidature nelle quote proporzionali. La presenza di un candidato in entrambe le componenti per una sola volta è accettabile, perché naturalmente il candidato non può essere troppo limitato nell’esercizio della sua ricerca del consenso.

Tutto il resto mi sembra materia disponibile alla creatività politica, anche se qualche raccomandazione potrebbe essere opportuna. Per esempio una organizzazione per legge del sistema di selezione dei candidati attraverso “primarie”, specie se inserita nel quadro di una regolamentazione complessiva dei partiti (come si tentò senza successo di fare in Costituente, per accontentarsi poi dell’attuale art. 49) sarebbe molto opportuna.

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