Polonia: discutiamo sul rosario alle frontiere
Ci sono argomenti che di per sé suscitano reazioni opposte e apparentemente inconciliabili. I social network accentuano la tendenza, ma nel contempo fanno venire più rapidamente alla luce i “nodi” attorno ai quali bisogna lavorare, senza paura delle opinioni divergenti. Uno di questi argomenti è la tendenza polacca, di certa parte della Polonia almeno, a radicalizzare la difesa dei valori cristiani dell’Europa opponendosi alla tendenza laicista-burocratica dell’Unione e all’influenza musulmana. L’articolo di Città Nuova relativo alla manifestazione organizzata alle frontiere polacche ha suscitato reazioni diverse.
Molti i commenti critici. Pierluigi Baschieri scrive ad esempio: «Forse l’affermazione della propria identità cristiana potrebbe essere ricercata attraverso l’accoglienza piuttosto che con rosari militarizzati». Rincara Domenico Duca: «Ho più paura della “potente Radio Maria” e non di chi è diverso da me». E Chiara Galbersanini chiosa: «Iniziativa assurda». Al contrario, altre reazioni si sono mostrate favorevoli al rosario alle frontiere. Patrizia Mancini scrive ad esempio: «Qui da noi in Italia molti parlano di difesa dell’identità cristiana, ma quando si trovano davanti a un povero Cristo allora lo disprezzano, lo perseguitano. Il suo esistere disturba questa società fatta di consumo sfrenato e scintillio fasullo». Ed Elisabetta Ceccarelli: «Abbiamo paura anche di chi prega? Mamma mia che fatica…».
Alberto Barlocci argomenta la sua opposizione alla manifestazione: «Che i credenti vogliano scendere in piazza a recitare il rosario, mi pare un diritto legittimo (…). Migranti e Islam sono il bersaglio preferito dei nostri timori. Ieri su FB l’economista Leonardo Becchetti spiegava quanto le migrazioni sono più ricchezza che spesa, secondo dati concreti. Mi chiedo poi quale identità sia in pericolo. Se fossimo nel 476 dopo Cristo chi si preoccupa delle identità starebbe scrivendo che “corriamo il rischio di perdere la nostra identità che è romana, essenzialmente, ed anche greca (in parte celtica), con la diffusione pericolosa di questi cristiani e l’arrivo di tanti popoli che non possiamo controllare”. Curioso vero? Oggi si difende una identità sorta dalle ceneri di altre identità (…). Non sarà forse che la storia è un grande vaglio per il quale passano quegli elementi che fanno centro nella persona e che ci fanno più uomini e donne e più società? (…) Allora, invece di temere l’Islam e gli islamici come attentatori della nostra identità, perché non lavoriamo sodo nel far sì che i nostri valori cristiani superino il vaglio della storia».
Dalla Polonia Piotr Zygulski argomenta la sua posizione, più sfumata, in questo modo: «Mi preoccupa da un lato l’ostilità verso la Russia che caratterizza quasi tutti i partiti, dall’altro l’incapacità – anche italiana – di una critica alle strutture tecnocratiche dell’Unione europea (…). Difendere le frontiere imbracciando il rosario (…) mi pare finanche blasfemo. Ciò non toglie che uno Stato se è tale avrebbe diritto a decidere come regolare i flussi migratori, a mio avviso, prima di accettare nuovi ingressi, cercando di occupare primariamente i suoi cittadini e garantendo pari diritti e salari agli eventuali immigrati già ospiti, per evitare dumping sociale. Resta il fatto che in Polonia ci sono ancora forti diseguaglianze».
Wojciech Czekaj, sempre dalla Polonia, si richiama invece allo spirito di cui Città Nuova è espressione. Scrive senza peli sulla lingua: «Uno dei principi della nostra spiritualità è il “farsi uno”. È un principio difficile a livello di pensiero. Questo articolo lo dimostra. Tante delle considerazioni su quella parte dell’Europa che voi chiamate “orientale” sono scritte da persone che riescono a ragionare solo dalla prospettiva dell’Occidente. In queste considerazioni non c’è nemmeno un pizzico di tentare di guardare la realtà anche con gli occhi di chi la pensa diversamente (…). Questa preghiera, ovviamente vista da un polacco, cattolico, anzi un prete, era “per” e non “contro”, per onorare la Madonna nel centenario delle sue apparizioni a Fatima, era il realizzare la sua richiesta di pregare per la salvezza del mondo».
Mi sono recato in Polonia più volte, in particolare nel 2016, per incontrare un gruppo di amici che non erano stati soddisfatti di alcuni articoli pubblicati sul nostro sito e sul nostro mensile a proposito dell’ondata migratoria dell’estate 2015, che era stata rigettata da Ungheria, Polonia e altri Paesi dell’ex-blocco comunista. In un dialogo franco, ma comunque amichevole, avevamo cercato di capirci, arrivando ad alcune conclusioni comuni: le storie dei nostri Paesi sono così diverse che è difficile capirsi appieno; l’impatto dell’immigrazione sulle nostre economie è allo stesso modo diverso; l’identità cristiana per chi ha vissuto sotto un regime dittatoriale che ha cercato di annullarla ha un valore sacro; l’Islam ha delle complessità religiose e culturali che vanno attentamente monitorate; l’Europa è in “crisi di valori”, non solo cristiani ma anche etici; l’Unione europea talvolta burocratizza all’eccesso la vita della gente. Non poco, direi. Lo sforzo comune era stato notevole nel non demonizzare l’interlocutore. Infine, avevamo notato una convergenza al di sopra delle altre: l’ascolto, il dialogo, la mutua accettazione sono in sé un valore che va coltivato con grande attenzione. Anzi, questo è il valore cristiano per eccellenza.
L’articolo pubblicato il 9 ottobre aveva questo sostrato, al punto che è stato criticato soprattutto in direzione opposta a quella espresso dal lettore polacco. Come giornalisti di una testata “risolutamente dialogica”, più volte ci siamo trovati nella condizione di dover comporre opinioni divergenti, non certo per trovare un minimo comune denominatore, ma per mantenere quello spazio di fiducia in cui si possono esporre le proprie opinioni senza essere demonizzati. Lo stesso sta accadendo per la Catalogna, in Medio Oriente per la conflittualità sunniti-sciiti, negli Usa per le politiche di Trump… Ovunque, anche per l’influsso mediatico, ci si polarizza. Il che non è di per sé un male, se si conserva la capacità di ascoltare e dialogare.
Per concludere riporto quanto dichiarato a Vatican Insider da Pawel Rytel-Andrianik, portavoce della Conferenza episcopale polacca, che reagiva ai tanti commenti negativi nella stampa europea: «Sono strumentalizzazioni di un atto puramente religioso. Nessuno era contro nessun altro. L’obiettivo era pregare per la pace». Vogliamo crederlo.