Polizia in sciopero, rischio anarchia

Disordini in Egitto, dilagano i gruppi armati che si fanno giustizia da soli. Tante le tensioni nel Paese: si stanno giocando partite molto importanti all’interno delle varie correnti dell’Islam e fra il governo, l’esercito e la popolazione
Egitto disordini

Negli ultimi giorni ho avuto l’occasione di parlare della complessa situazione egiziana con persone che vivono al Cairo e che confermavano la precarietà della vita nonché la pericolosità legata all’ormai lungo sciopero da parte della polizia, che rischia di far finire il Paese in uno stato di anarchia totale.

Nelle scorse settimane Talaat Abdullah, procuratore generale, ha lanciato un appello alla popolazione, incoraggiandola a individuare i delinquenti comuni e a consegnarli alle forze dell’ordine. Ma l’appello ha favorito una nuova escalation di violenza con casi di linciaggi, mutilazioni, impiccagioni da parte di gruppi che si sono sentiti autorizzati a fare giustizia sommaria.

Si stanno verificando casi di violenza sia nelle periferie urbane che nei villaggi. A el-Guindiya nella provincia di Sharqiya (mille km a nord del Cairo), nella regione del Delta del Nilo, una folla inferocita ha legato a un albero un uomo sospettato di furto malmenandolo a morte. La scorsa settimana un gruppo di "vigilantes" del villaggio di Sammound nel governatorato di Gharbiya ha prima linciato e denudato ed infine impiccato due persone accusate di aver tentato di rapire una ragazza. Il tutto davanti alla popolazione del villaggio che gridava inferocita: "uccideteli, uccideteli". A Mahallah Ziad nello stesso governatorato, una folla di centinaia di persone ha circondato una delle poche stazioni di polizia ancora attive, tentando di catturare e giustiziare un uomo sospettato di aver rapito una ragazza del posto.

Di fronte a questa situazione, che pare ormai fuori controllo, il ministro dell'Interno, Ahmed Mekki, ha definito questi ed altri fatti di violenza inaudita come "la morte dello Stato" ed ha criticato la mossa di Talaat Abdullah. Gli islamisti, da parte loro, hanno organizzato gruppi di "vigilantes" per amministrare la giustizia. Il gruppo più consistente è quello della Gamaa al-Islamiya, i cui membri hanno chiesto alle autorità il permesso di girare armati.

Una situazione molto simile si riscontra nell'Alto Egitto, dove ai casi di criminalità si aggiungono scontri fra musulmani e cristiani copti. Per "riportare" l'ordine la Al-Gamaa Al-Islamiya e i Fratelli Musulmani si sono offerti di sostituire le forze dell'ordine, proponendo un servizio di sicurezza privata con il ​diritto di portare armi e procedere ad arresti. 

Ma la situazione non è solo complessa dal punto di vista dell’ordine pubblico. Sta, infatti, crescendo un senso di insofferenza generalizzato nei confronti dei Fratelli Musulmani e dell'egemonia islamista nelle moschee. Lo dimostra anche una grande manifestazione da parte di imam che si sono radunati davanti al ministero degli Affari religiosi. Gli imam accusano il ministro Talaat Afify di voler controllare sia i loro discorsi che i loro comportamenti, punendo ed emarginando quelli che si discostano dal pensiero unico islamista.

Il ministero degli Affari religiosi controlla anche le donazioni e gli awfaq (offerta religiosa), e gestisce l'assegnazione dei fondi alle moschee e a tutte le organizzazioni islamiche impegnate nell'aiuto ai più bisognosi e nella diffusione dell'islam. È parte della struttura amministrativa dello Stato e gestisce un totale di 106mila strutture religiose, oltre ad avere la responsabilità della nomina degli imam, dei quali è chiamato a controllare anche la condotta. La salita al potere degli islamisti ha interrotto la pratica di procedere alle nomine in accordo con l'università islamica di Al-Azhar.

Inoltre, negli ultimi tempi alcuni funzionari del ministero sono stati sostituiti dal ministro senza alcuna motivazione e al loro posto sono stati nominate persone di fiducia di Afify, che ha preso le distanze da certe critiche affermando di non aver scelto di diventare ministro, ma di essere stato nominato e di agire per il bene dell’Islam in generale e delle moschee in particolare. L’accusa che viene mossa ad Afify è quella di aver fatto mosse che cercano di politicizzare i luoghi religiosi, piazzando in varie moschee del Cairo imam salafiti, per lanciare una campagna politica in vista delle prossime elezioni in programma nel mese di luglio. Alcuni di questi imam non solo operano all’interno delle moschee, ma fanno uso dei mass-media per lanciare la loro propaganda politico-religiosa.

È, dunque, evidente che le tensioni all’interno del paese non sono solo fra la maggioranza musulmana e le minoranze, in particolare quella cristiana. Si stanno giocando partite molto importanti all’interno delle varie correnti dell’Islam e fra il governo, l’esercito e la popolazione.

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