Politica: Prove di dialogo
Questa volta ci troviamo davvero di fronte ad una notizia: maggioranza e opposizione, con l’insediamento del nuovo governo, hanno avviato una nuova fase politica all’insegna del dialogo. Dopo i presidenti di Camera e Senato (ma va sottolineato anche l’atteggiamento costruttivo del leader del maggiore partito di opposizione), lo stesso presidente del Consiglio Berlusconi ha assunto l’iniziativa: con il suo discorso alle Camere in occasione della fiducia ha innovato sé stesso, inaugurando un’immagine di sé decisamente più politica, da leader preoccupato non solo delle sorti della propria parte ma del governo dell’intera nazione. Da qui le considerazioni positive nei confronti delle iniziative del Pd, organizzatosi con un governo-ombra, e il richiamo alla condivisione della riscrittura delle regole del gioco. Riforme da fare assieme, quindi (e tra queste, da evidenziare la citazione della legge elettorale). Alle parole è seguito il fatto dell’invito a Palazzo Chigi di Veltroni, per una prima disamina delle questioni più impegnative. Ma non solo: anche singoli ministri hanno iniziato a confrontarsi con l’omologo ministro-ombra. Magari diventasse una prassi! Chi ha definito spiazzante questa nouvelle vague non ha torto. Dove vanno a finire le chiare distinzioni, le belle liti che, ciascuno per la propria parte, hanno tenuto gli italiani in assetto di guerriglia verbale, facendoli sentire politicamente vivi? E i rassicuranti antismi che delimitavano i reciproci confini? Beh, intanto è difficile credere che tutto questo svanirà nel nulla. E poi… Come possiamo, proprio noi di Città nuova, non tifare per questo nuovo corso? Abbiamo sperato e caldeggiato in ogni modo il superamento della contrapposizione frontale e quindi plaudiamo ai nuovi scenari che si affacciano. Crediamo nel dialogo. Di più. Crediamo nella fraternità come categoria e metodo politici: esso ne può essere la base, il terreno su cui essa può germogliare, offrendo un nuovo orizzonte di idealità a tutta la politica. Quale dialogo? Quello che muove dalla sincera intenzione di andare incontro all’altro con apertura e con ascolto, per porgere la propria prospettiva con atteggiamento costruttivo. Quello che rende disposti, così come si chiede di fare all’altro, a rivedere le proprie posizioni pur di trovare un punto di incontro. Quello costruito sotto il faro acceso del bene del Paese, per una prospettiva di futuro nella pace, interna e internazionale. Non confondiamolo mai con i compromessi al ribasso o peggio con le spartizioni e gli scambi: il dialogo produce sintesi che hanno il timbro della novità. Crediamo, insomma, nel dialogo che si nutre delle ispirazioni più alte e nobili delle parti. Alle obiezioni prevedibili (la prima: ma può esistere, in politica, una forma tale di relazione?) si può opporre una concreta risposta: la Carta costituzionale. Chiediamo perciò ai nostri politici di stare su questo piano, nulla di meno, rinunciando a guardare ad obiettivi di giornata per una visione di ampio respiro e lungo periodo. Tutti ce ne avvantaggeremmo. La maggioranza, servendo davvero il Paese nella sua unità e rendendo possibile per i cittadini di riconoscersi nelle istituzioni che li governano. L’opposizione, a rischio di non toccare palla (secondo la sconsolata espressione di un neofita e blasonato parlamentare) o di rincorrere una visibilità di tipo ostruzionistico, potrebbe invece div entare costruttiva, incidendo con il proprio apporto, anche di ispirazione culturale, nelle scelte impegnative che il Paese attende. Senza rinunciare, anzi definendo sempre meglio, le proprie visioni programmatiche (e il governo-ombra può aiutare anche in questo senso). E tutti quei cittadini che credono che la democrazia sia anche presenza attiva e partecipazione troverebbero nuovi spazi di azione. L’Italia davvero tornerebbe a crescere.