Politica internazionale in ordine sparso
Anche per il cronista di politica internazionale più navigato, non è facile di questi tempi leggere quel che sta accadendo in un pianeta malato per gli eccessi degli umani. Israele Vs Palestina, Ucraina Vs Russia, Repubblica Democratica del Congo Vs Ruanda, India Vs Pakistan, Yemen Vs Arabia Saudita… La lista dei conflitti internazionali supera la quarantina, ma a questa serie di guerre dichiarate se ne aggiunge un’altra ancora più lunga di conflitti sporchi, a geometrie variabili o asimmetriche, anche perché ormai le tensioni si esprimono su diversi piani, non solo su quello militare o di intelligence.
Tra i tanti, ecco alcuni conflitti che “intrigano”: la guerra dei satelliti tra giganti del digitale; il caso DeepSeek, che rischia di sconvolgere il panorama dell’AI, l’intelligenza artificiale, e di scavare ulteriormente il fossato tra Cina e suoi alleati e Stati Uniti con la corte dei suoi amici; la guerra del coltan e delle altre terre rare nella regione dei Grandi Laghi; la guerra dei prezzi sulle materie prime agricole, ad esempio cacao e caffè, che rischiano di mandare sul lastrico non poche economie fragili; le migrazioni che sminuzzano la geopolitica di diverse regioni; la déregulation dei confini (solo altrui, a dire il vero), invocata dalla nuova (anzi, vecchissima) dottrina trumpiana; l’avanzata in Europa dell’ondata sovranista…
È a tutti evidente come le avanzate tecnologiche e il modo di ragionare globale stiano mettendo in crisi le antiche dottrine politiche delle frontiere certe, e quindi degli Stati-Nazione. Gli equilibri industriali e commerciali sono stati buttati a gambe all’aria dalle diverse rivoluzioni tecnologiche che si sono susseguite dopo la Seconda guerra mondiale: nel campo dei trasporti, in quello sanitario, in quello comunicativo e informativo, senza dimenticare le fughe in avanti di un pensiero sempre più globale e dalla grave crisi di senso del “sistema religioso” che non riesce a stare dietro all’emergere di un mondo transnazionale.
Come risultato, possiamo osservare crescenti “solipsismi” nella politica internazionale, senza riferimenti certi in autorità internazionali riconosciute universalmente o quasi, com’era avvenuto per le Nazioni Unite dopo l’ultima guerra mondiale. In soldoni, più aumentano le paure, provocate da motivi sia endemici che esogeni, più si cerca rimedio nelle antiche ricette della chiusura identitaria: riesco ad essere vincente se mi arrocco attorno all’identità del popolo, o della nazione piuttosto. Le frontiere materiali tornano a chiudersi, ma si fatica a mettere un limite a quelle tecnologiche e culturali.
Le società vivono perciò una crisi di schizofrenia diffusa: mi concentro di nuovo sulle note storiche che danno coesione al mio gruppo etnico, razziale, religioso o culturale, ma guai se non mi permettete più di viaggiare a mio piacimento, o se mi impedite di svolgere i miei Erasmus all’estero, se mi chiudete Netflix o Amazon o DeepSeek, se mi impedite di comprare mozzarelle e vini italiani (la chiusura nel campo alimentare sta incidendo sulla popolazione russa più delle armate ucraine nel conflitto del Donbass). La nascita di movimenti xenofobi in Francia, Italia, Germania, Polonia, Ungheria… paiono a un’analisi attenta un’assurdità storica, che i fatti smentiranno, perché il meticciato è una realtà.
Quali prospettive? Già da alcuni decenni i pensatori più attenti – penso, per fare un paio di nomi di orizzonti diversissimi, a Norberto Bobbio e a Joseph Ratzinger – hanno messo in luce una grave deriva del pensiero, la frammentazione, che poco alla volta avrebbe portato anche a un’analoga frammentazione nella politica e nella quotidianità. I sociologi hanno analizzato quest’ultimo aspetto, e i politologi quella della gestione del potere, convenendo che sì, la frammentazione è ormai ovunque. Quello che non è stato evidenziato in modo adeguato è l’inversamente proporzionale crescita della concentrazione delle ricchezze mondiali in poche mani e quella della conoscenza scientifica e tecnologica. Papa Francesco ed Edgar Morin, tra gli altri, hanno stigmatizzato tale tendenza, definita del “paradigma tecnocratico”. Joe Biden, nel suo discorso di addio alla Casa Bianca, ha messo in guardia contro l’emergenza di una nuova oligarchia che potrebbe governare il mondo da qui a poco senza etica e senza ideali. Approfittando della frammentazione del pensiero e della politica, il business tecnocratico sta in effetti conquistando il mondo. Speranze? Una sola: una rivolta bottom-up, cioè dal basso, contro l’attentato crescente alle nostre libertà.
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