Politica e carità
In un momento di importanti riflessioni politiche nel nostro Paese, l'attualità del pensiero di Igino Giordani.
Se la politica fosse sola giustizia rimarrebbe sterile per quei cittadini che fossero vinti nelle competizioni della vita. Viceversa s’integra se interpreta cristianamente l’autorità, quale un servizio perché nasce dalla carità: servizio reso con rispetto alla persona umana e con un senso di dovere assistenziale verso la miseria. Così concepita, la politica si sente responsabile del bene di tutti i cittadini, anche degli ultimi: non si esaurisce a impedire il male, a mantenere l’ordine esterno, ma si sforza di suscitare il bene con un ordine interno, divenendo un’attività supremamente morale e benefica. La politica fuori della legge di Dio si trasforma in una maledizione per gli amministrati: nella legge di Dio diviene un aiuto vigoroso a raggiungere i fini individuali, familiari, professionali.
In quello spirito essa tende al benessere, all’ordine, alla pace: è un’attività pacifica; e – insegna san Tommaso – la vera pace viene direttamente dalla carità e indirettamente dalla giustizia, essendo compito di questa eliminare gli ostacoli alla pace; mentre la pace è propriamente un’applicazione della carità.
Nella vita pubblica la carità esclude l’egoismo del tenersi in disparte: fa a ciascuno un dovere di assistere lo Stato, la comunità; diviene carità di patria; e vede l’interesse nazionale non come una categoria esterna, ma come interesse comune, in cui sono inclusi i destini delle rispettive famiglie e persone. La politica così da palestra di risse, diventa gara di servizi coi quali serviamo ai fratelli e a noi stessi.
Uno Stato senza spirito, – potrei dire: uno Stato senza Chiesa, – e, in tutti i casi, uno Stato non animato dal principio posto da quella carta costituzionale che è il comandamento nuovo, – dell’amore, – diventa, per una umanità cresciuta al livello della giustizia cristiana, uno Stato poliziotto, una bardatura burocratica, un cadavere sontuoso. Sono stati possibili i genocidi, le deportazioni spettacolari, i campi di concentramento, i lavori forzati, perché nelle strutture e negli uomini responsabili non agiva – non agisce – l’amore: agisce quello che san Girolamo chiama l’avversario dell’amore, e cioè la paura; e con la paura un calcolo puramente animale, egoistico, irrazionale.
Senza amore, il rapporto tra i popoli è determinato dalla paura: e la paura si traduce in corsa pazza agli armamenti, per i quali i popoli prima si svenano finanziariamente poi fisicamente. «Ma – dice il Papa – il legittimo e giusto amore verso la propria patria non deve far chiudere gli occhi sulla universalità della carità cristiana, che fa considerare anche gli altri e la loro prosperità nella luce pacificante dell’amore». Tant’è: o la carità o la guerra, sia quella militare sia quella economica.
Avverte san Leandro, amico di Gregorio Magno: «l’orgoglio ha diviso le nazioni, la carità le riunisca». E le riunì, nel Medio Evo, con quella che Salviano chiamò «controffensiva della carità». I barbari erano calati per preda e morte: l’amore li fuse coi vinti a formare una nuova società. E questa forza trasformante agisce sempre.
Igino Giordani I fondamenti del diritto sociale: giustizia e carità, 1961, pp.31-33.