Politica delle armi e vite in fuga, incontro con Delrio
Armi e migranti. Machiavelli o Simone Weil? Quali punti di riferimento sono oggi necessari per fare politica davvero senza ricorrere al marketing della società dello spettacolo?
Nel pomeriggio del 30 marzo Graziano Delrio era atteso alla Camera per il passaggio di consegne alla nuova capogruppo del Pd, una scelta di genere imposta da Enrico Letta, nuovo segretario del partito, e poteva andare in Senato a prendersi gli onori dell’approvazione unanime della legge delega sull’assegno unico e universale per i figli da lui proposta assieme a Stefano Lepri.
Ma l’ex sindaco di Reggio Emilia, da tempo alla ribalta nazionale, anche come ministro e sottosegretario alla presidenza del consiglio, ha scelto di confrontarsi sul web in un collegamento pubblico “sconveniente” per affrontare il nodo inestricabile e difficile di scelte di guerra e diritti dei migranti.
Tutto è nato da un dibattito pubblico proposto a gennaio 2021 sul sito C3dem che esprime una rete di realtà e associazioni che appartengono alla cultura cattolica democratica. Le 3 C stanno per Costituzione, Concilio e Cittadinanza e il coordinatore attuale della rete è Paolo Tomassone, presidente del centro culturale di Modena intitolato a Francesco Luigi Ferrari, una figura esemplare dell’antifascismo cattolico.
Queste le domande proposte: Perché l’Italia vende armi a Paesi che sono in guerra e che violano i diritti umani? Che senso ha scandalizzarsi per la morte orribile di Giulio Regeni, la detenzione inumana di Patrick Zaki, se, tramite Fincantieri, controllata dallo Stato, vendiamo al governo di al Sisi due navi di guerra in previsione di ulteriori e più ricche commesse di armi? E che dire dei rapporti di forniture belliche con la monarchia saudita, alleato di ferro degli Usa e primo acquirente di armi al mondo? Non parliamo dell’invio di bombe prodotte in Italia da una controllata della tedesca Rheinmetall, per ora bloccate dopo l’ultimo atto del governo Conte, ma dei rapporti diretti di Fincantieri e di Leonardo, altra società con capitale pubblico di controllo.
E le contraddizioni non finiscono qui. A Genova sono inquisiti i portuali lodati dal papa perché si sono rifiutati di assistere una nave saudita carica di sistemi d’arma, mentre a Trieste un’altra inchiesta giudiziaria riguarda un anziano professore in pensione che cerca di aiutare i migranti lungo il calvario della rotta balcanica che si interrompe davanti al muro dell’Ue.
Quell’Europa, “ponte di pace”, si rivela spietata nei campi disumani di Lesbo, finanzia la guardia costiera libica che riporta i profughi nei campi lager e chiede ai manganelli della polizia croata di difendere i nostri confini dalla pressione di un’umanità in fuga da quella guerra mondiale a pezzi che contraddistingue il nostro tempo.
Di fronte a tale stato delle cose, che la trasmissione di Rai3, Presa diretta, ha recentemente definito “dittatura delle armi”, esiste, di solito, un muro di gomma da parte della politica che conta. Tanti silenzi ostinati oppure risposte evasive tipo “non sono un esperto del campo”. Molto meglio la franchezza di Guido Crosetto, ex parlamentare e fondatore di Fratelli d’Italia, che, alla guida dell’Associazione delle industrie della difesa sostiene apertamente la necessità di essere presente sul mercato medio orientale e nelle zone di conflitto, molto semplicemente perché altrimenti ci sarebbero comunque i nostri concorrenti occidentali, la Francia in primis.
Ma non è meno esplicito il ministro della Difesa , il dem Lorenzo Guerini, nel sostenere la necessità di finanziare le industrie della difesa o il compagno di partito, ex ministro agli Interni, Marco Minniti, promotore, fin dai tempi dei Ds, della grande commessa dei caccia bombardieri JSF 35 e, ora, dimessosi dallo scranno parlamentare per passare direttamente alle dipendenze di Leonardo con un ruolo di vertice nella fondazione recentemente creata proprio per promuovere la presenza della società in Medio Oriente.
Proprio con Minniti, in merito alla sua politica di criminalizzazione delle ong, si è registrato nel 2017 uno scontro da parte di Delrio, allora ministro dei trasporti.
Una posizione decisamente divergente e scomoda nei confronti delle direttive del suo partito è quella di Gian Piero Scanu, deputato Pd fino al 2018, proveniente dal Partito popolare, che ha cercato, invano, di opporsi al progetto dei caccia JSF35 perché non rispondente a reali esigenze di difesa ma agli interessi del complesso militar industriale rappresentato dalla multinazionale Lockheed Martin. Lo stesso Scanu ha guidato una commissione di inchiesta parlamentare che ha rivelato pesanti responsabilità nella gestione del poligono militare di Quirra, dove sono state utilizzate armi sperimentali con gravissimi effetti nocivi sull’ambiente, i soldati e la popolazione residente.
Ormai fuori dal parlamento, il deputato sardo, intervenuto nell’incontro pubblico sul web, espone tutti i suoi dubbi verso un’interpretazione subalterna della fedeltà atlantica dell’Italia. È, infatti, legittimo poter discutere il significato dell’atlantismo posto come uno dei punti discriminanti nel discorso alle Camere di presa in carico del governo da parte di Mario Draghi.
Proprio in questi giorni, infatti, inizia Defender Europe una delle più grandi esercitazioni militari della Nato in Europa con 28 mila soldati e 2 mila mezzi pesanti con un impiego massiccio di risorse distratte dall’emergenza della terza ondata di una pandemia, paragonata impropriamente ad una guerra. Ma che, se è da considerarsi tale, come tutte le guerre ha bisogno di soldi. E, invece, anche i miliardi di euro stanziati dal Recovery fund europeo per la transizione ecologica rischiano di essere dirottati verso l’industria delle armi come denuncia in una nota circostanziata la Rete italiana pace e disarmo.
Graziano Delrio non si è sottratto all’evidenza dei fatti emersi dall’incontro web incentrato sulla “politica delle armi e umanità in fuga” correggendo quanto afferma il segretario del Pd ha detto: «abbiamo bisogno di radicalità nei contenuti e non solo nei comportamenti». E, in tal senso, ha messo in evidenza che, per uscire dalla crisi epocale in cui ci troviamo, non possiamo ricorrere alle astuzie di Machiavelli ma ad una visione politica alta ed esigente come quella di Simone Weil, la singolare pensatrice francese che ha affrontato le ferite del Novecento. Una figura complessa, pacifista convinta e volontaria nella lotta di resistenza al nazifascsmo.
Citando Giorgio La Pira possiamo dire di trovarci dentro uno dei tornanti decisivi della storia: per il nostro Paese, l’Europa e il mondo intero.
Il prossimo 9 maggio, data della dichiarazione Schuman, inizia la conferenza sul futuro dell’Europa. Giorno che, in questo 2021, coincide con il centenario della nascita di Sophie Scholl, la giovane tedesca che, con altri cristiani, diede la vita nella resistenza al regime nazista organizzandosi nel gruppo de La Rosa bianca. Un punto di riferimento per le scelte da compiere oggi nel segno della libertà, della pace e della nonviolenza, come ha ribadito nell’incontro web Fabio Caneri, presidente dell’associazione italiana de La Rosa bianca. Quei giovani erano una estrema minoranza e anche oggi sembra che le istanze per un mondo di pace nella giustizia appartengano ad una parte ridotta della società che non assicura voti e consensi nel gioco delle maggioranze politiche.
Ma la sfida posta dall’incontro promosso come Focolari Italia, C3dem e Rosa Bianca, con il contributo importante di Pax Chrisi e della rivista Mosaico di Pace, ha preso le mosse proprio dalla consapevolezza che anima i cristiani in politica, descritti dallo storico Pietro Scoppola come «portatori di un annuncio che è motivo di continuo inappagamento rispetto ad ogni ordine costituito».
Qui il video dell’incontro del 30 marzo su Politica delle armi e vite in fuga.