Polemiche Disney: una storia senza fine
Come ogni grande rivoluzione, anche quella Disney ha trovato resistenze nell’opinione pubblica, oltre che gioia da parte di chi ha visto il suo cambiamento di rotta come un riflesso del futuro progresso della società, contro ogni discriminazione. Perché proprio di un cambiamento di rotta si tratta. Basti pensare ai film Dumbo (1948), Peter Pan (1953) e Aristogatti (1971), classici dell’intrattenimento per bambini. Chi penserebbe mai al fatto che oggi possano essere rimossi dalla sezione dedicata agli “Under Seven” della piattaforma streaming Disney+ perché ritenuti offensivi.
«Ancora disponibili per gli utenti di età superiore ai 7 anni, i film sono segnalati con un cartello che avverte circa le “rappresentazioni negative” e “le denigrazioni di popolazioni o culture”», così è scritto in un articolo pubblicato su skytg24. Il testo preciso del cartello sarebbe: “Questo programma include rappresentazioni negative e/o trattamenti errati nei confronti di persone o culture. Questi stereotipi e comportamenti erano sbagliati allora e lo sono oggi. La rimozione di questo contenuto negherebbe l’esistenza di questi pregiudizi e il loro impatto dannoso sulla società. Scegliamo invece di trarne insegnamento per stimolare il dialogo e creare insieme un futuro più inclusivo”.
Le ragioni che hanno condannato questi film alla gogna sono comprensibili ma, come si può immaginare, hanno creato polemiche. In una canzone del film Dumbo si recita: “E quando poi veniamo pagati buttiamo via tutti i nostri soldi”, una mancanza di rispetto alla memoria degli schiavi afroamericani. Negli Aristogatti la ragione risiede nella figura del gatto siamese Shun Gon, le cui caratteristiche caricaturali sono irrispettose verso i popoli orientali. Ancora Peter Pan, film che ha fatto sognare ad occhi aperti grandi e piccini, ma che utilizza l’appellativo errato e offensivo “pellirosse” verso i membri della tribù di Giglio Tigrato. Fa riferimento al colore della loro carnagione, invece il termine corretto sarebbe nativi americani, neanche quello comunemente usato di “indiani”. Pare infatti che questo derivi dalla falsa convinzione di Cristoforo Colombo di aver circumnavigato il globo e aver raggiunto l’India.
Non solo, alla figura di Walt Disney stesso si imputano oggi numerosi attributi, quali “Razzista, antisemita, suprematista bianco, sessista, ora finanche (postumamente) “reo” di aver promosso l’immagine di un bacio non consensuale”, quello di Biancaneve dormiente. Così è scritto in un articolo di Huffingtonpost. Nonostante ciò, ci sono esperti che negano questi attributi, come Neal Gabler, critico cinematografico e primo biografo ad aver avuto accesso agli archivi Disney.
Una cosa da tenere in conto è, senza giustificare nessuno, che figure di altre epoche sono vissute in una società profondamente diversa dalla nostra, dove anche culturalmente alcuni comportamenti non venivano in generale considerati errati, anzi. E chi non sviluppava da sé una sensibilità in questo senso, rimaneva lontano da queste consapevolezze. “Walt Disney non era un razzista, né pubblicamente o privatamente ha mai fatto osservazioni denigratorie sui neri o affermato una qualsivoglia superiorità bianca. Come molti bianchi americani della sua generazione, tuttavia, non era sensibile sulle tematiche razziali”, così scrive Gaber nel suo libro “Walt Disney: The Triumph of the American Imagination”.
Forse per redimersi dal suo passato burrascoso e cercare di stare al passo con i tempi e le tendenze della società, la Disney oggi ha preso decisamente una piega opposta. Il 24 maggio 2023 è uscito al cinema il film La Sirenetta in versione live-action. Di nuovo polemiche su polemiche. La ragione principale: Ariel interpretata da Halle Bailey, un’attrice di colore, diversa dalla Ariel del cartone del 1989. A conclusione, la sensazione è che ci sia la consapevolezza dell’erroneo in stereotipi del passato, ma sembra che, allo stesso tempo, non venga apprezzato da tutti il tentativo di abbatterli.
Eppure principesse di differente etnia sono rappresentate dal 1992 con Jasmine di “Aladdin”, seguita da Pocahontas, Mulan e Diana di “La principessa e il ranocchio”. Anche Giglio Tigrato di Peter Pan, del 1953, può esserne un esempio. Tuttavia è stata forse l’aspettativa, delusa, di una Ariel simile fisionomicamente a quella del cartone, ad aver scosso di più l’opinione pubblica.
Il tentativo di eliminare non sembra significare per la Disney rinnegare tutto ciò che è stato creato in precedenza. Non si tratterebbe di un’azione che rientra nella “Cancel Culture”, la censura, sostanzialmente, sebbene bisogni sempre prestare attenzione nei confronti di questa tendenza, propria delle rivoluzioni, di cancellare un passato non in linea con il presente. Quello della grande azienda sarebbe piuttosto un tentativo di rendere chiaro che si discosta da certe rappresentazioni negative dalle quali i suoi giovani spettatori, sempre più immersi nella realtà mediatica, non dovrebbero rimanere condizionati. Certo è che vietare film come Peter Pan ai minori di 7 anni può essere uno shock culturale non da poco per papà e mamme, che sono cresciuti con cartoni come questo.
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