Poesie scelte
Il tempo che viviamo confina la poesia in una specie di ghetto, considerandola spesso come un prodotto, un oggetto dell’uomo. Dimenticando così che la facoltà poetica è reale con tutte le conseguenze, in fatto di scrittura, di lettura e di possibile ricezione. Nel leggere le Poesie scelte di Luigi Razzano (Libroitaliano Editore), ho avvertito in esse la forza di una parola che diventa testimonianza di un’esperienza autentica di vita, la cui valenza fondamentale non risiede tanto nella serie di vicende in cui il poeta è immerso, quanto nel poeta che ne prende coscienza e ne scrive. C’è una frase di Mario Luzi che mi piace collegare con la poesia di Razzano: “Scrivere nella vita e poi addirittura con la vita mediante l’inchiostro della vita”. Nei versi di Luigi Razzano c’è l’oscurità, il dubbio, il non senso, il senso del nulla, la speranza e la pienezza, ed è continuo questo richiamo dei contrasti, dove è la parolapoesia lo strumento di congiungimento, ma una parola-poesia-vita. Nella realtà noi spesso vediamo che si tende a corrompere la parola rendendola semplice segno – la cinematografia, quando non è arte, è maestra in tal senso -, a destituirla di senso. Poi interviene la poesia e allora assistiamo al miracolo: la parola genera la parola e ricostruisce l’armonia, ridà senso alla vita, ai sentimenti, allarga gli orizzonti, genera coscienza. “Dove c’è silenzio che io canti la Parola/ è con la Parola che io canto la tua Vita” scrive Razzano nella sua Preghiera semplice che, posta in apertura del volume, diventa significante dell’intera raccolta, anche quando il verso parla dell’anima oscurata e in pena. Più l’autore immerge i propri pensieri e sentimenti nella profondità del vissuto, più la parola gli si trasforma in altro, riprende il suo moto, si apre ad un altro campo di significazione. “Quando tutto dorme e tace/ dir la vita è come ricrearla”, “La notte è il tempo del poeta la sua parola mostra a tutti/ l’alba all’orizzonte”. È con la parola che la vita parla, e dall’ombra nasce la luce, dall’assenza la presenza, dal nulla la pienezza, dalla morte la resurrezione. Il fermento poetico è nel buio, nella disperazione, nella privazione, nel taglio delle radici, nella mancanza di rapporto con Dio “come seme alitato dal vento/ senza un terreno dove porre radici,/ come polline disperso nell’aria/ senza un pistillo da fecondare/ come nomade che vaga ramingo/ senza una tenda dove porsi al riparo”. Il buio, la solitudine, la disunità, fanno eco al grido di Cristo abbandonato, e diventano amore svelato nella sua essenza più alta: “Noi,/ in questo frammento lacerato/ da quel grido abbandonato,/ che spalanca in mezzo a noi/ il cielo dell’amore”. È l’esperienza dell’incontro con la Morte-Vita che dà pienezza di senso ad ogni piccolo o grande dono di sé: “Come voragine d’amore/ t’inabissi dentro di me,/ in una vita che si crea/ da un nulla fatto dono”. Il Dio di Razzano è il Dio di Gesù Cristo che va incontro alla sua creatura, per assumerne il suo infinito limite e trasformarlo in pace in un rapporto di figliolanza divina: “Nell’angoscia che ti invade/ t’accorgi che sei solo/ figlio del tuo Dio”.