Poche notizie dalla Libia

I timori di un conflitto lungo e inconcludente si fanno avanti. I rischi aumentano. Ma qualcosa si muove nella diplomazia statunitense e si spera in un prossimo arresto dei combattimenti  
guerra in libia

È già costata un miliardo di dollari, la campagna di Libia. Che cosa avrebbe potuto fare l’Occidente con questo miliardo per appoggiare le giovani generazioni arabe assetate di una nuova vita, più libera e meno povera? E con gli altri miliardi che spenderà nei prossimi giorni, nelle prossime settimane o forse mesi e addirittura anni? D’accordo, la guerra è iniziata sotto l’egida dell’Onu, con un accordo mai visto, per cacciare un dittatore. Ma ora cosa sta avvenendo?

 

Il contesto internazionale s’incupisce: dopo tanti anni, a Gerusalemme scoppia una bomba alla fermata dei bus, che fa un morto e 30 feriti. Tutti ne parlano, come nessuno invece scrive degli otto palestinesi uccisi a Gaza, tra cui due bambini, dagli ordigni intelligenti sganciati dagli F16 israeliani. Come al solito i morti non sono tutti uguali. Come i 7 uccisi dalla polizia siriana a Dera’a, dopo un funerale di altri giovani uccisi in altri scontri. In Yemen il governo è stato costretto a dichiarare elezioni e stato di emergenza, e in Bahrein la rivolta cova ancora sotto la cenere e sotto lo sguardo dei mezzi militari sauditi.

 

Sul fronte libico, l’Arabia Saudita ha invitato gli attaccanti a non esagerare, mentre i “volenterosi” occidentali litigano a più non posso, la Merkel se ne va dal blocco marittimo, Alain Juppé tiene ben alta la cresta e il Parlamento italiano si sminuzza sulla missione. Tanto che Gordon Ash titola: Cercasi l’Europa disperatamente. La Clinton lancia nel frattempo segnali di un interessamento diplomatico della Libia: forse anche Oltreoceano – Obama è sempre parso riluttante all’intervento – ci si è resi conto della complessità della situazione nella quale la coalizione degli attaccanti s’è incanalata.

 

Nell’ormai quotidiana conversazione con mons. Giovanni Martinelli, vescovo di Tripoli, ho udito il pianto appena contenuto del presule, non a proposito dei bombardamenti che continuano «e che cominciano a fare morti anche nelle famiglie dei vicini di casa», ma a proposito della preghiera: «Nei cristiani c’è voglia di ritrovarsi in chiesa per pregare. Ma anche tra i musulmani è forte l’istinto ad andare in moschea, anche se è pericoloso, anche se girare per le strade è operazione sempre più rara. I musulmani sono contenti quando vedono i nostri fedeli entrare in chiesa, tutti si vuol pregare Dio perché questa guerra cessi».

 

La cronaca della chiesa cattolica di Tripoli è fatta di messe, di filippini che se ne vanno, di eritrei per i quali si cerca un visto tunisino, di notti insonni per i bombardamenti (il porto è a due passi dalla chiesa e dall’attigua ambasciata italiana): «Le scuole sono chiuse, la gente non ha il cuore per andare a lavorare, il pane comincia ad essere poco, si piangono i morti, si rimpiangono gli ultimi anni di ripresa del turismo, di relazioni con l’Europa più semplici e rispettose».

 

Mons. Martinelli ricorda il coraggio di Giovanni Paolo II che, nel 1986-87, aveva riallacciato le relazioni diplomatiche con la Libia, nonostante il Paese fosse ancora sotto embargo internazionale. Fu un gesto che aprì una stagione diplomatica fruttuosa, e portò enormi vantaggi alla gente libica, perché l’economia si sbloccò poco alla volta.

 

E il rischio di ritrovarsi con un Paese diviso in due, da una parte i cirenaici appoggiati dalla coalizione internazionale e dalle loro armi, e dall’altra i tripolitani, asserragliati attorno al dittatore Gheddafi e alle tante armi che in questi anni hanno ricevuto dagli europei? «È possibilissimo che la spartizione avvenga – dice mons. Martinelli –, ma in fondo nessuno veramente lo vorrebbe qui in Libia, nemmeno a Bengasi che conosco bene».

 

Gheddafi secondo Martinelli non mollerà e il contrasto tra cirenaici e tripolitani rischia di sfociare in una vera guerra civile. «Per evitare questi rischi servirebbe un immediato cessate il fuoco, bilaterale beninteso. Secondo me è possibile, anzi è auspicato qui a Tripoli, anche dalle autorità; ma bisogna lavorarci con volontà e decisione», auspica infine mons. Martinelli.

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