Poca festa, buoni film

L’assenza del concorso privilegia pellicole artistiche e di qualità, dal funambolico “The Walk” di Robet Zemeckis che racconta dell’acrobata Philippe Petit, al trionfatore del festival di Toronto, “Land of Mine” sui prigionieri tedeschi usati per sminare le spiagge danesi
Land of Mine

Sta facendo bene, forse, alla festa romana la mancanza del Concorso. Senza inutili e spesso artefatte tensioni e ridotte drasticamente nel numero, il neodirettore Monda offre al pubblico una rassegna- di pellicole, quasi sempre di buon livello. Una volta tanto, rimangono in sordina i film banali ed ovviamente commerciali del passato.

 

Certamente il pubblico ha amato ed amerà The Walk di Robet Zemeckis, spettacolo in 3 D rabbrividente del “poeta ed artista”, (come lui si autodefinisce), Philippe Petit, il funambolo francese che, sospeso sul filo d’acciaio, ha “passeggiato” sulle cascate del Niagara e nell’agosto 1974, tra le due  Torri Gemelle a NewYork. Interpretato magistralmente da Joseph Gordon-Levitt, aereo, spiritoso e bizzarro, il racconto della sfida dell’uomo al vuoto e allo spazio incanta e fa rimanere sospesi. Anche perché Petit, nell’incontro pomeridiano con il pubblico – era la sua prima volta a Roma – si è rivelato quale egli è: un poeta liberissimo di danzare nello spazio, desideroso di ulteriori conquiste, senza paura.

 

Meno aereo il mèlo canadese di Guy Edoin Ville-Marie. Al Pronto soccorso di un ospedale la caposala Marie si trova ad affrontare situazioni traumatiche: il paramedico Pierre stressato, la star Sophie Bernard (Monica Bellucci) nel suo difficile rapporto con il giovane figlio; Thomas- a cui nasconde il nome del padre – vittima di un incidente, e lei stessa Marie, che ha perso un figlio e di fatto ne ha abbandonato un altro dai suoceri. Quattro storie dolorose dove amore e sofferenza così inestricabilmente legati cercano di superare traumi e paure. Un ritratto dolente di tante vite contemporanee. La Bellucci, ormai cinquantenne in forma, è maturata come attrice e la regia compiacente le regala frequenti primi piani, ma non la rende assoluta protagonista, cercando di sviluppare anche gli altri personaggi. Fra tutti brilla la maschera dolente di Marie.

 

Un thriller psicologico familiare è invece Au plus près du soleil del francese Yves Angelo. L’ex prostituta Juliette, accusata di aver indotto al suicidio l’amante, entra in conflitto col giudice istruttore Sophie. Ancor più quando il figlio adottivo di costei è in realtà il figlio biologico della giovane donna. Sophie si rifiuta di dire la verità al ragazzo e persegue una lotta contro di lei, di cui a fare le spese drammaticamente sono il figlio e il marito. Inquietante, irrisolto in alcuni personaggi e duro, anche questo si rivela in realtà un film sull’amore, visto nel suo lato più possessivo e quindi nelle sue conseguenze più dolorose.

 

E siamo al film forse sino a questo momento di livello più alto. Si tratta del trionfatore del festival di Toronto, Land of Mine (Terra delle mine), storia autentica ambienta nel maggio 1945, quando i danesi vincitori usarono i prigionieri tedeschi per sminare le loro spiagge. Un gruppo di giovanissimi prigionieri è condotto dal sergente Rasmussen a fare questo lavoro. Uomo duro, violento, che odia i tedeschi e non ha nessuna pietà per i ragazzi. La vita di quest’ultimi è disumana: freddo, fame, rancore, rischio quotidiano di morte. E la morte di uno di loro in effetti arriva. L’accaduto e l’ardire di una giovane recluta disarmano lentamente l’odio del sergente che ritrova il suo lato umano ed un inedito senso di paternità, lottando contro il disprezzo dei suoi superiori.

Teso, scabro, recitato alla grande, livido e sporco, questo racconto commuove, trascina, indigna sulla violenza di ogni guerra e sul desiderio di vendetta che solo il dolore, la morte e l’innocenza disperata possono trasformare, almeno per alcuni, in pietà.

 

Come si nota, non mancano film, che fanno della rassegna romana una buona carrellata di anteprime, assieme alle retrospettive, come quella dedicata a Pietrangeli di cui si vedono ben quindici lavori. Assai interessanti, da scoprire o riscoprire, sia per rivalutare un autore di cui si parla troppo poco e sia per ricordare la grande storia del nostro cinema.

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