Il Pnrr nella prospettiva del noi
Pnrr. Conoscere per deliberare. Il Mppu pugliese ha proposto un confronto a proposito del famoso Piano nazionale di ripresa e resilienza che in molti citano senza conoscere il testo e soprattutto saperlo interpretare.
Quello che possiamo dire è che il governo Draghi, nato per iniziativa del Quirinale come esecutivo di unità nazionale, esprime una progettualità di lungo termine prevedendo riforme strutturali destinate a incidere sul nostro futuro. Basta rileggere in questo senso con attenzione il discorso di Draghi al Senato. L’urgenza dei tempi di approvazione del Pnrr ha di fatto reso impossibile l’esame nel merito da parte del Parlamento che aveva discusso invece il precedente piano elaborato dal governo Conte.
La Commissione europea ha adottato una valutazione positiva del piano per la ripresa e la resilienza dell’Italia, che prevede l’erogazione di 68,9 miliardi di € di sovvenzioni e 122,6 miliardi di € di prestiti ( 191,5 mld)
Parliamo di un piano molto complesso che prevede 133 linee di investimento che si traducono in 930 interventi. Questo il quadro che emerge da uno studio del gruppo Intesa-San Paolo citato da un articolo del professor Viesti dell’università di Bari.
Oltre a confidare nella competenza dell’ex governatore della Bce e della cabina di regia definita dal suo governo, c’è bisogno, per non cadere in una delega irresponsabile e antidemocratica, di un monitoraggio e controllo pubblico come chiede ad esempio il Forum diseguaglianze e diversità. In generale la critica che viene fatta ad esempio da parte di Fabrizio Barca, coordinatore del Forum che raduna molte associazioni e esperti, il Pnrr manca di una visione complessiva mentre secondo Viesti c’è attenzione in generale verso la modernizzazione del Paese ma non la rimozione degli ostacoli che hanno finora bloccato lo sviluppo del Sud.
Una preoccupazione che è emersa riguarda l’accessibilità reale alle risorse destinate al Mezzogiorno. Sul sito ufficiale del Ministero per il Sud e la coesione territoriale, si precisa ad esempio che «al Sud andrà il 40% dei fondi territorializzabili (cioè riferiti a progetti con ricadute su territori specifici) ossia circa 82 miliardi su un totale di 206.
Come annunciato dal presidente Draghi, un ulteriore stanziamento di 9,4 miliardi sarà aggiunto al Fondo complementare e sarà rivolto esclusivamente al completamento della linea ferroviaria ad alta velocità tra Salerno e Reggio Calabria, già in parte finanziata all’interno del PNRR».
Altri 8,4 miliardi «destinati a interventi nel Mezzogiorno» provengono dal programma europeo supplementare React-EU (totale di 13,5 mld per l’Italia) con tanto di piano di utilizzo definito dal ministero.
Sono previsti poi 54,23 miliardi di euro dai Fondi strutturali e di investimento europei per il periodo 2021-2027
Il Fondo nazionale di Sviluppo e Coesione destina al Mezzogiorno per il periodo 2021-2030 altri 58 miliardi di euro.
Infine si prevedono 1,2 miliardi di euro da parte del Just Transition Fund (programma europeo contenuto in “Next Generation EU” rivolto alla transizione ecologica) «che saranno utilizzati per la riconversione dello stabilimento ex Ilva di Taranto e per la riqualificazione della regione del Sulcis in Sardegna».
Nonostante queste cifre, esiste il timore verso un’impostazione del Pnrr che finisce per privilegiare le aree dove già esiste una maggiore densità produttiva e imprenditoriale. Allo stesso tempo esiste un meccanismo di “allocazione competitiva delle risorse fra le amministrazioni comunali” che finisce per penalizzare i comuni del Sud o delle aree interne del Paese che dispongono di minor personale e strutture adeguate per intercettare le risorse disponibili.
In generale, e qui incide la visione di una certa idea di economia, gli interventi previsti e le riforme messe in cantiere servono a far funzionare il mercato, attirando gli investimenti privati, piuttosto che adottare misure di politica industriale in settori chiave (passaggio da Mazzucato a Giavazzi).
Come nota Antonio Piangiolino, del Mppu e consigliere comunale di Acquaviva delle Fonti, «negli Enti Locali, così come in tutta la PA, l’età media del personale è molto alta. Soprattutto al Sud il rapporto di dipendenti comunali è basso, con la Puglia fanalino di coda, secondo i dati IFEL. La banda larga è in molti casi ancora assente. Le infrastrutture in molte regioni sono davvero carenti e, se si parla di ferrovia ad alta velocità tra Napoli e Bari, il versante ionico fino a Reggio Calabria è ancora a scartamento ridotto».
Il sindaco Notartomaso di Campo di Pietra ha fatto notare che nel suo comune di 2 mila e 500 abitanti, promotore di un grande progetto di parco sulla Transumanza, esiste solo un dipendente in forza e che tra l’altro andrà presto in pensione. Su una pianta organica di 500 dipendenti comunali, la città di Andria, con 100 mila abitanti, ha in forza solo 290 dipendenti come ha messo in evidenza la sindaca Giovanna Bruno, chiamata ad affrontare le conseguenze del dissesto finanziario ricevuto in eredità dalla precedente amministrazione.
Nel video integrale dell’incontro le proposte e le analisi avanzate assieme alla testimonianza dell’impegno diretto dentro i territori.