La pluralità che non piace al nazionalismo turco
La settimana scorsa la Suprema Corte turca ha ripresentato la richiesta di soppressione dell’Halklarin Demokratik Partisi (Hdp), il Partito democratico dei popoli (56 seggi nel Parlamento turco), dopo che ad aprile la Corte costituzionale aveva respinto per vizi procedurali un’analoga richiesta, motivata con una presunta collusione fra Hdp e Pkk, il Partito curdo dei lavoratori, vale a dire il terrorismo assoluto secondo i nazionalisti turchi. E stavolta è arrivato il via libera al procedimento giudiziario. A norma dell’articolo 69 della Costituzione turca la decisione spetta alla Corte costituzionale (15 membri).
Secondo Devlet Bahçeli, principale accusatore e presidente dell’Mhp, il partito nazionalista alleato dell’Akp del premier Erdogan: «L’Hdp è un’organizzazione criminale con una veste politica; la sua chiusura è un dovere d’onore per la storia, per la nazione, per la giustizia e per le generazioni future e non dovrà essere più possibile una sua riapertura sotto un altro nome».
La cancellazione di un partito parlamentare con deputati democraticamente eletti da milioni di cittadini (l’Hdp è attualmente la terza forza partitica del parlamento) potrebbe suscitare sconcerto in chi è al di fuori di certe logiche, ma non è una novità in Turchia: dalla fondazione della Repubblica, nel 1923, ad oggi sono stati 53 i partiti politici chiusi o dichiarati fuorilegge. L’Hdp, che ha sempre negato ogni legame con il Pkk, è un partito di sinistra con radici curde. Il suo presidente onorario, Ertuğrul Kürkçü, così lo definiva recentemente: «L’Hdp non è semplicemente un partito curdo, non è la continuazione dei partiti del passato che erano partiti curdi sostenuti da forze democratiche turche. L’Hdp è un partito comune di opposizione, curdo e turco, ne fanno parte decine di partiti turchi, curdi, con diversi background».
Resta il fatto che non da oggi l’Hdp è accusato di “terrorismo”: il suo leader carismatico, Selahattin Demirtaş, arrestato all’indomani del fallito golpe del 2016 (senza alcuna prova che ne fosse coinvolto, secondo i suoi difensori), è stato condannato a 142 anni di carcere. Inascoltate le dichiarazioni in suo favore della Corte europea dei diritti dell’uomo. Anche centinaia di dirigenti, decine di parlamentari e sindaci dell’Hdp sono stati destituiti in questi ultimi anni.
Senza volere in alcun modo fare della polemica, ma interpretando i fatti, ciò che colpisce è una narrazione nazionalista intransigente che vuole a tutti i costi negare la realtà plurale costitutiva della Turchia in nome di una presunta nazione turca, quasi che la “vera e unica” Turchia sia senza curdi (soprattutto) ma anche senza aleviti, sufi, bektashi, cristiani, gulenisti o progressisti laici; e senza cittadini di origine armena, greca, ebraica o assira. La somma di queste ed altre numerose “anomalie” comprende almeno il 35% dei cittadini turchi, ad essere minimalisti. Senza voler qui entrare nel merito di considerazioni relative a diritti umani e civili dei cittadini di un Paese.
Un esempio di un consistente gruppo di natura non etnica da sempre emarginato se non anche perseguitato, ma che non solo si mantiene vivo, anzi sotto sotto è in crescita, sono gli aleviti. Sono musulmani duodecimani, quindi sciiti, ma non amano essere assimilati ai khomeinisti dell’Iran, e sono molto diversi dagli alawiti siriani. Quanti siano non si sa, e loro stessi non amano farlo sapere per prudenza, ma sono almeno 10 milioni senza contare la diaspora. Le loro caratteristiche principali sono: amore e rispetto per tutti, tolleranza verso altre religioni ed etnie, grande considerazione per il lavoro e i lavoratori, uguaglianza tra uomini e donne nella vita sociale e nei momenti di preghiera (ma non frequentano le moschee).
Anche la politica governativa di trasformazione del Diyanet (Presidenza degli Affari Religiosi) da strumento di controllo (per quanto discutibile) a tutela della laicità dello stato in un’agenzia di promozione a senso unico dell’islamismo sunnita di un certo tipo, escludendo tutti gli altri anche musulmani (e con un bilancio che va oltre il miliardo di dollari), in fondo non fa che ribadire questa presunzione nazionalista che disprezza la ricchezza plurale delle radici storiche e culturali dei popoli e delle fedi che compongono l’attuale Turchia. E in questa varietà è arduo sostenere che c’entri qualche complotto straniero.