Plovdiv, capitale da sempre
Giustizia vuole che in quest’anno 2019 venga ricordata anche l’altra città europea designata, insieme a Matera, “capitale della cultura”: è Plovdiv, seconda città bulgara dopo la capitale Sofia. A molti questo nome dirà poco o niente: a causa, infatti, della sua posizione un po’ defilata nell’estremo sud-est del Vecchio Continente, la Bulgaria è la nazione d’Europa meno nota ai turisti italiani: peccato, perché la sua collocazione geografica tra Occidente e Oriente l’ha resa punto d’incontro di culture diverse, ciascuna delle quali vi ha lasciato tracce cospicue!
È il caso appunto di Plovdiv, situata sulle sponde del fiume Marizza, in una piana circondata dagli Antibalcani a nord-ovest e dai monti Rodopi a sud. Città dalla storia millenaria (sembra risalga a prima del 5000 a. C.), fu inizialmente capitale dei traci odrisi col nome di Eumolpias (dal suo mitico fondatore Eumolpo), poi conquistata nel 342 a. C. dal padre di Alessandro Magno, Filippo II di Macedonia, che la chiamò “Filippopoli” e la volle capitale del suo impero, ruolo che essa mantenne fino al 46 d.C., quando cadde sotto l’egemonia romana. Restaurata da Traiano, divenne sotto Marco Aurelio capitale della Tracia romana, giungendo a tal grado di splendore da battere moneta. Crocevia di importanti strade imperiali provenienti dal nord e dall’ovest dei Balcani, in quest’epoca di grande floridezza Filippopoli giunse ad avere i suoi tre colli centrali cinti da mura, sì da essere ribattezzata Trimontium.
Nel 251 la città fu assalita dai goti, nel 447 distrutta quasi del tutto dagli unni; un secolo più tardi venne riedificata da Giustiniano e dotata di nuove mura. Ambitissima dai bulgari, a partire dall’812 passò di mano fra questi e i bizantini almeno 12 volte, finché nel 1364 fu conquistata dai turchi di Murad I e fatta capitale del beilicato di Rumelia col nuovo nome Filibè. Da allora, grazie ai commerci dentro e anche oltre i confini dell’Impero ottomano, conobbe una nuova stagione di prosperità, turbata solo dalle lotte religiose tra i siro-armeni pauliciani (riunitisi con la Chiesa di Roma alla fine del XVI secolo) e i greco-bulgari ortodossi. Assunto nel 1636 il definitivo nome di Plovdiv, nel 1878 la città passò ai russi, che la designarono capitale della Rumelia orientale. Soltanto nel 1885, anno in cui questo principato indipendente si unificò con quello di Bulgaria, essa tornò sotto la sovranità bulgara. Dopo la Seconda guerra mondiale condivise il destino di questa nazione ormai nell’orbita sovietica.
Da questo rapido excursus si evidenzia l’importanza mantenuta, nell’avvicendarsi dei regimi, da una città rimasta sempre capitale. Ora che lo è anche della cultura europea, essa manifesta a più largo raggio l’impronta ricevuta dalla mescolanza di culture slave e no, da cui ha avuto origine quella bulgara (il termine turco bulgha significa appunto “mescolare”). C’è chi l’ha definita “la Firenze bulgara”, affascinato dal suo coloratissimo centro storico, vero museo a cielo aperto dove edifici civili pubblici e privati di varie epoche si affiancano a chiese e complessi monastici, a moschee e sinagoghe. Ma dire museo è evocare qualcosa di stantio. In realtà Plovdiv è una città socialmente e culturalmente vivace, grazie al suo carattere cosmopolita, accresciuto dai flussi turistici divenuti quest’anno ancora più consistenti nel suo centro quasi interamente pedonale, nei suoi parchi e giardini frequentati da bambini e anziani intenti al gioco degli scacchi, nelle sue stradine acciottolate, nelle sue gallerie d’arte, nei numerosi chioschi, ristoranti e caffetterie dove è possibile gustare piatti tradizionali accompagnati da vino o birra, caffè turco o tè con quel dessert al miele e alla frutta secca noto come baklava. E quale magnifico colpo d’occhio dalla cima del Nebet Tepe, il colle sul quale insistono i resti della cittadella fondata dai traci (a patto però di evitare la vista, in pianura, degli squallidi blocchi di edilizia popolare tipici dell’era socialista)!
La visita ci indirizza agli splendori dell’antica Filippopoli, rappresentati dalle notevoli collezioni di epoca greca, romana e bizantina custodite nel Museo archeologico regionale; dallo scenografico teatro eretto sotto Traiano, originariamente in grado di accogliere fino a 7 mila spettatori e ancora oggi adibito a spettacoli; dal foro con l’adiacente odeon; dallo stadio dove si svolgevano gare atletiche ed ippiche: un edificio imponente, che poteva ospitare circa 30 mila spettatori, solo parzialmente riportato alla luce nella centralissima piazza Džumaja. Senza contare le altre testimonianze di epoca classica disseminate qua e là e quelle che gli scavi in corso vanno riscoprendo.
Forse il più bel tempio cristiano di Plovdiv, un vero gioiellino circondato da alte mura e segnalato solo dal campanile ottagonale, è la chiesetta ortodossa in legno dedicata ai santi Costantino ed Elena. Ricca di suggestivi affreschi e icone e con una splendida iconostasi, è stata ricostruita nell’Ottocento dopo un incendio che ha distrutto l’edificio più antico.
Uno snello minareto invita invece a visitare la moschea Djumaya, ricordo del passato turco di questa città. Eretta sul sito della chiesa cattedrale dopo la conquista ottomana del XIV secolo, è un’armonia di pietra e mattoni ricoperta da nove cupole e vivacemente affrescata all’interno. Un fatto di cronaca: nel febbraio 2014 la Djumaya è stata attaccata da una folla che protestava contro la restituzione all’autorità religiosa musulmana di questo bene requisito dal regime comunista.
Ma soprattutto prevale, nel cuore storico di Plovdiv, il cosiddetto “barocco bulgaro” di inizio Ottocento, motivo questo del riconoscimento Unesco. Questo particolarissimo stile riecheggiante forme abitative tradizionali è presente nelle case in legno, o in legno e pietra, caratterizzate da un piano superiore aggettante che sembra quasi toccare quello dirimpetto, dal portico a colonne e dalla facciata dipinta a colori vivaci. Gli interni mostrano decorazioni in legno scolpito specie nei soffitti e nicchie ornamentali. I cortili ricchi di verde sono chiusi da alte mura. In molti di questi edifici, trasformati in case-museo, si possono ammirare arredi d’epoca, dipinti e oggetti d’arte.
Paese europeo con il più basso reddito pro capite, la Bulgaria è da una parte ossessionata dallo spettro della povertà, dall’altra avverte il bisogno di rompere la sua emarginazione, la sua scarsa apertura al mondo esterno. Ancora in attesa di entrare a far parte della Comunità europea, vuole però farlo con dignità, senza apparire il parente povero. Plovdiv capitale culturale non potrebbe essere di stimolo al popolo bulgaro per conoscere e far conoscere le grandi potenzialità di questa terra, cercando il modo di tradurle in crescita economica?