Serve lavoro e bisogna cerca di uscire dalla crisi. Come fare? Il parere dell'imprenditore
In questi anni in cui per fortuna, sta diventando drammaticamente evidente la centralità per la fioritura umana di una occupazione per tutti, mi è giunta questa "provocazione" di Flavio Luconi: «per combattere la disoccupazione nei paesi industrializzati, non sarebbe più semplice ridurre ai dipendenti l'orario di lavoro a 30 ore settimanali, visto che ormai le macchine e i computer fanno molto del lavoro che una volta veniva svolto dall'uomo? Così molte più persone avrebbero una occupazione, il lavoro verrebbe eseguito meglio da persone meno stressate, si avrebbe più tempo per studiare e professionalizzarsi, più tempo libero per spendere i soldi guadagnati etc… invece di continuare a spingere le persone a lavorare e produrre sempre di più, lasciando poi senza lavoro gran parte della popolazione esclusa dal circuito produttivo?»
Dato che viviamo in una economia di mercato in cui non è possibile pareggiare i conti aumentando i prezzi dei prodotti o servizi, per rendere possibile quanto sopra sarebbe necessario che chi lavora accettasse di vedersi ridurre lo stipendio in proporzione alla riduzione delle ore di lavoro: una soluzione che nel mondo di oggi viene considerata solo quando, venuto a rischio il lavoro di tutti, si è costretti, per non lasciare a casa una parte dei lavoratori, ad adottare i contratti di solidarietà.
Ridurre l'orario di lavoro per creare occupazione in economia di mercato in teoria sarebbe possibile svalutando la moneta: così si potrebbe ridurre il costo dei nostri prodotti e servizi all'esportazione senza ridurre lo stipendio dei lavoratori, ma riducendo il potere di acquisto di tutti gli italiani: nei fatti le due soluzioni si equivalgono, però la svalutazione sarebbe psicologicamente più accettabile, essendo un onere esteso a tutta la comunità nazionale.
Svalutare sarebbe quindi una scorciatoia che però imporrebbe di uscire dalla moneta unica, perdendo così la grande occasione che ci viene offerta di riscattarci dalla arretratezza nella organizzazione statale e dalla nostra poca coscienza civica, i due difetti che frenano le nostre possibilità di sviluppo, e rinunciando così a trasformarci in uno Stato efficiente e moderno capace di avere un suo ruolo specifico anche in un mondo multipolare.
Riguardo al problema della disoccupazione, va notato che in paesi del Nord Europa in cui la disoccupazione è minore, viene favorito e molto utilizzato il lavoro a tempo parziale: tante volte basterebbe anche una mezza giornata adeguatamente retribuita per sistemare tante situazioni.
In Italia è essenziale che ritorni la fiducia nel futuro e per questo è importante aumentare la moneta nelle tasche dei lavoratori dipendenti che poi spendendo farebbero contenti anche gli altri; ed è ugualmente importante rimettere il contante nelle casse delle aziende, sia riducendo la tassazione del lavoro che inducendo le banche a rendere più facile il credito. Ad esse oggi è stata assicurata la liquidità, occorre adesso limitare la loro possibilità di usarla nell'acquisto dei titoli di stato, che ormai sono appetiti anche da investitori internazionali.
Servirebbe anche offrire alle pubbliche amministrazioni la liquidità per pagare i loro debiti pregressi, mettendo sul mercato più Btp, possibile in un momento di spread più contenuto: il problema però forse è che non tutti i debiti delle pubbliche amministrazioni sono già stati "presi in carico dallo Stato", e facendolo forse lo Stato dimostrerebbe di non rispettare più formalmente gli impegni di bilancio presi con l'Europa: ma a questo punto si potrebbe anche un po' derogare dagli accordi.
Sarebbe più facile svalutare: è più difficile invece combattere l'evasione fiscale e ridurre la spesa pubblica senza contrarre l'occupazione complessiva; per riuscirci occorrerebbe che nel nuovo parlamento ci fossero molti parlamentari pronti a contrapporsi ai tanti centri di interesse che traggono oggi vantaggio dalla situazione attuale (province, ecc); centri di interesse tutti inevitabilmente legati alla politica del passato.