Piste di lavoro
Sono convinto che per incontrare i giovani nei loro contesti e offrire loro un messaggio nuovo di vita, occorre lavorare molto bene, insieme, da veri professionisti, investendo le migliori energie. Nel contesto in cui viviamo oggi è necessario, infatti, “ripartire” da questioni e problemi fondamentali per costruire un mondo nuovo. Propongo di riflettere, a questo proposito, su tre punti: 1. la situazione giovanile; 2. gli scenari futuri; 3. alcune piste di lavoro.
1. La situazione giovanile
Descrivere in poche parole la situazione giovanile a livello mondiale è un’impresa quasi impossibile1. Occorre necessariamente soffermarsi su indicazioni sommarie, dando quasi soltanto i titoli dei problemi che riguardano una realtà molto variegata.
1.1. Spunti dall’Instrumentum laboris
del prossimo Sinodo
Riguardo alla situazione giovanile, il Documento preparatorio del prossimo Sinodo dei vescovi descrive una serie di caratteristiche. Va tenuta presente la pluralità di mondi giovanili.
Un primo gruppo di considerazioni è concentrata sui cambiamenti rapidi che incidono sul mondo di oggi i quali creano un contesto di «fluidità e incertezza mai sperimentato in precedenza». Questa situazione presenta un problema ma anche una opportunità che richiede di assumere uno «sguardo integrale» e la capacità di «programmare a lungo termine».
Un altro aspetto che si segnala è la cultura “scientista”, spesso dominata dalla tecnica e dalle infinite possibilità che essa promette, ma che sembra moltiplicare forme di tristezza e solitudine. Il paradigma tecnocratico e la ricerca spasmodica del profitto immediato producono la cultura dello scarto, lo sfruttamento delle risorse naturali e il degrado dell’ambiente, cose che minacciano il futuro delle prossime generazioni2.
Un ultimo aspetto con cui si descrive il mondo giovanile di oggi è quello della multiculturalità e della multireligiosità. Anche la compresenza di più tradizioni e identità culturali rappresenta una sfida ma anche in questo caso un’opportunità; da una parte possono crescere il disorientamento e la tentazione del relativismo, e dall’altra c’è la possibilità di un confronto fecondo e di un arricchimento reciproco. Questo ovviamente richiede una crescita nella cultura dell’ascolto, del rispetto e del dialogo.
Un passaggio importante dell’Instrumentum laboris è il tema del discernimento vocazionale e dell’accompagnamento dei giovani nelle loro scelte di fede.
A questo proposito viene richiamata l’attenzione sul fatto che il giovane vive la propria condizione in un mondo diverso dalle generazioni dei propri genitori e dei propri educatori. Sono profondamente cambiati i desideri, i bisogni, le sensibilità, il modo di relazionarsi con gli altri: tutti aspetti che incidono sul processo di socializzazione e sulla costruzione dell’identità.
Spesso i giovani sperimentano condizioni di particolare durezza per la povertà e l’esclusione, per la mancanza di famiglia e di educazione, perché sono disoccupati, sfollati o migranti, e vi sono inoltre molte forme di sfruttamento e di vera schiavitù.
È interessante, poi, notare che i giovani non si percepiscono come una categoria svantaggiata o un gruppo sociale da proteggere. Alcuni sono destinatari passivi di programmi finalizzati a loro. Altri, invece, desiderano essere parte attiva dei processi di cambiamento del presente, reclamando spazi di protagonismo.
Molte ricerche mostrano come i giovani sentano il bisogno di avere figure di riferimento vicine, credibili, coerenti e oneste, oltre che di luoghi e occasioni in cui mettere alla prova la capacità di relazione con gli altri e affrontare le dinamiche affettive. Essi cercano figure in grado di esprimere sintonia e offrire sostegno, incoraggiamento e aiuto a riconoscere i limiti, senza far pesare il giudizio. Queste figure non le vogliono vedere solo negli adulti, ma soprattutto nel gruppo dei pari.
In questo senso è grande nei giovani il bisogno di trovare occasioni di integrazione libera, di sincera espressione affettiva, di apprendimento informale, di sperimentazione di ruoli e abilità senza tensione e ansia.
1.2. Circa la dimensione del credere
Le ricerche sociologiche svolte sul tema dell’esperienza giovanile del credere, evidenziano che i giovani vivono un tempo di “religiosità instabile”. «Incredulità diffusa, plausibilità del credere, confini porosi, secolarizzazione dolce, ostilità e pretese verso la Chiesa, socializzazione religiosa interrotta»3, sono alcuni termini con cui viene definita la religiosità dei giovani. Riassumo qui alcune caratteristiche principali di questo ambito.
Anzitutto, la tendenza più significativa è il forte aumento dei giovani “non credenti” che si compone di atei convinti, di indifferenti alla fede religiosa e di giovani che di fatto non credono in una realtà trascendente. Senza grandi contestazioni, l’identità religiosa (e cattolica) non è più un tratto che accomuna le nuove generazioni, in una società che si considera ormai culturalmente plurale.
Un secondo aspetto è quello che emerge dal confronto tra la sensibilità di quanti sono aperti a una prospettiva di fede e di quanti la negano.
Tra loro vi sono divergenze riguardo alla presenza di Dio nel mondo, al ruolo della religione nella società e al valore da attribuire alla ricerca spirituale nel proprio orizzonte di senso.
Ma vi sono anche varie convergenze. La prima riguarda l’accettazione di scelte diverse e anche opposte in campo religioso. La seconda convergenza riguarda la critica diffusa dei modelli religiosi prevalenti nella nostra società, anche relativamente alla Chiesa cattolica, considerata antiquata in campo etico e dottrinale. Tuttavia, il giudizio non è univoco; vengono molto apprezzati i preti di strada, quelli anticamorra, le figure non conformiste, come pure chi si spende per i giovani, per gli ultimi, per i luoghi di frontiera ecc.
C’è, poi, un elemento interessante nel rapporto dei giovani con la Chiesa cattolica: l’aver vissuto esperienze positive nelle parrocchie o negli oratori non impedisce a molti di maturare un’immagine assai negativa della Chiesa nel suo complesso. Allo stesso tempo, molti giovani ammettono di essere alla ricerca di una fede religiosa o di forme di spiritualità più in sintonia con la coscienza moderna.
Un altro aspetto riguarda i valori dello spirito. Si può dire che la “spiritualità” sembra essere una “zona intermedia” tra i non credenti e i credenti, tra quanti negano Dio o sono indifferenti alla religione e quanti invece si riconoscono in una realtà trascendente4.
1.3. Dall’ambito degli universitari
Dalle inchieste effettuate nel mondo universitario emergono molti elementi di riflessione che possono essere raggruppati in tre aree principali.
Anzitutto l’area dell’identità (cioè l’ambito del discernimento che i giovani fanno di se stessi e delle loro scelte). Costruire l’identità richiede un lungo percorso; gli studenti avvertono che nella situazione attuale devono riadattare continuamente i percorsi di vita. Nella costruzione della loro identità, sono poco interessati a mantenere abitudini e valori tradizionali e a confrontarsi con le grandi questioni che riguardano la politica o i problemi sociali comuni del proprio Paese; loro preferiscono coltivare le relazioni corte e dirette, soprattutto con la famiglia, con gli studi e con gli amici, anche se non manifestano una grande sicurezza nelle loro relazioni con gli altri, di cui hanno un basso grado di fiducia.
In secondo luogo abbiamo l’area dei valori e delle relazioni (è l’ambito della prossimità). Questo aspetto riguarda le relazioni in generale, come pure l’ambito dell’affettività e dei rapporti che nascono in questo contesto.
Circa i valori e le idee morali, in generale gli studenti universitari non sarebbero né troppo relativisti né troppo permissivi. Dal punto di vista generazionale, si considerano diversi dai loro genitori e, più generalmente, dagli stili di vita dominanti che prevalgono nella società attuale. Tuttavia non tenderebbero a creare conflitto, ma a coabitare con chi la pensa in modo differente.
Riguardo alle relazioni, le indagini hanno rilevato che per gli studenti è normale cercare i propri amici tra le persone che sono più o meno simili a loro; cercano persone di tipo ottimista, desiderose di raggiungere un posto di lavoro ben remunerato, rispettosi dell’autorità familiare (anche se non sono sempre d’accordo con i propri genitori), che aspirino ad un riconoscimento sociale significativo, che siano interessati alle novità tecnologiche, che non siano troppo religiosi, né si interessino eccessivamente della politica, e che siano poco inclini a cambiamenti sociali importanti.
Nelle relazioni che influiscono sul loro comportamento, pongono al primo posto i genitori, e in particolare le madri. Fra i professori, i preti o religiosi, solo pochi esercitano una influenza sugli studenti.
Per quanto concerne la mentalità e la sensibilità sociale degli studenti, essi preferiscono, sia per il divertimento che per nutrire i loro interessi, i contatti informali piuttosto che stabilire relazioni costanti, come avviene nelle associazioni. Gli studenti dell’Africa, del Medio Oriente, dell’Asia del Sud e del Sud-Est sono quelli che hanno manifestato un grado inferiore di individualismo, e dunque maggiore sensibilità ai problemi sociali.
In terzo luogo, abbiamo l’area dei rapporti con il mondo e con le sue istituzioni (è il luogo della solidarietà).
Quali sono gli orizzonti più grandi verso i quali, a partire dalla vita universitaria, gli studenti orientano la loro vita e i propri studi? Quale ruolo giocano in questo i grandi problemi della giustizia, delle disuguaglianze, dell’esclusione/inclusione, della rilevanza del dato religioso nella vita pubblica e della costruzione del bene comune (la partecipazione, la democrazia, l’impegno in ambito civile e culturale ecc.)?
Riguardo a tutte queste questioni gli studenti si allontanano poco da ciò che è definito come il “politicamente corretto”. Essi non difendono il capitalismo, ma allo stesso tempo non lo sacralizzano e nemmeno ricercano qualcosa di radicalmente alternativo. Valutano negativamente il fenomeno della globalizzazione, e quindi si distanziano da essa. Le loro critiche verso gli uomini politici sono talmente intense da far pensare che preferiscono evitare di agire, rimanendo invece comodi in isole soffici e rinchiusi dentro ideali borghesi, confortevoli e poco inclini a contaminarsi e a mettersi a contatto con ciò che va oltre il loro mondo.
Considerando ciò che gli studenti esprimono circa i loro ideali professionali e i loro progetti giovanili, la coscienza che hanno dell’esistenza della povertà non ricopre una grande importanza. E non si tratta soltanto di una questione individuale, ma anche di atteggiamenti che rivelano i risvolti sociali di questo problema. Non è sentita in modo significativo la necessità di vivere una cittadinanza attiva e partecipata.
2. Gli scenari del XXI secolo
Per avere un quadro di riferimento sociologico che ci permetta di riflettere meglio su come i giovani dovrebbero guardare al proprio futuro, per compiere scelte adeguate sia a livello personale che di responsabilità sociale, culturale ed ecclesiale (cioè scelte di studio e di vita, oltre che la qualificazione professionale, l’impiego lavorativo e i vari campi di testimonianza attiva), vorrei prendere spunto dal Rapporto dell’Ocse5, e cioè il piano strategico per il 2030, quando coloro che oggi iniziano la scuola primaria si diplomeranno in uscita da quella secondaria.
Intitolato Learning Framework, questo piano solleva una questione fondamentale: cosa dovrebbero fare i Paesi per preparare le persone a comprendere un mondo che cambia, a impegnarsi in esso e a modellarlo6?
In un recente convegno su questo tema7 per capire quali abilità professionali si debbano richiedere ai giovani del XXI secolo, è stato evidenziato che i sistemi educativi attuali sono inadeguati a confrontarsi con un quadro di riferimento totalmente mutato, caratterizzato da un’esplosione di esigenze e di conoscenze scientifiche e da problemi sociali molto complessi.
Il dato principale di contesto per il XXI secolo rimarrà quello di un ambiente naturale in pericolo, di una popolazione in continuo aumento con le risorse che diminuiscono, di cambiamenti climatici come fattori che pongono tutti di fronte a una responsabilità: quella di sviluppare il nostro pianeta in modo sostenibile, con un occhio rivolto ai bisogni delle generazioni future. Allo stesso tempo, nuove sfide si saranno manifestate, provocate dall’interazione fra tecnologia e globalizzazione8.
La priorità è quella di conciliare gli interessi e i bisogni degli individui, delle comunità e delle nazioni all’interno di un quadro comune di equità reciproca, fatta di frontiere aperte, liberi mercati e un futuro sostenibile, nonostante ci troviamo oggi dinanzi a governi che promettono frontiere chiuse e interessi concentrati più sulla generazione odierna che non su quella che verrà.
Per agire in modo efficace nel mondo del 2030, i giovani dovranno essere innovativi, responsabili e consapevoli e a tale scopo occorrono modelli concettuali e un quadro di riferimento più aperti e dinamici e un sistema di conoscenze che facciano da bussola per l’apprendimento. Cosa significa questo?
Anzitutto creare nuovo valore. Creare un valore nuovo va ben oltre l’ambito economico, ma è l’elemento chiave per la trasformazione degli attuali modelli sociali, politici e culturali che avviene solo attraverso processi trasformativi rafforzati da immaginazione, curiosità intellettuale, costanza di impegno, collaborazione ed autodisciplina.
Un secondo elemento: in questa società complessa le soluzioni al problema dovranno essere anch’esse complesse e ai giovani si richiederà di diventare abili nel gestire tensioni, dilemmi e negoziati di dare e avere, e nel ricercare equilibri tra equità e libertà, autonomia e solidarietà, innovazione e continuità, efficienza e rispetto delle regole democratiche. Sarà necessario avere persone molto competenti, ma che sappiano includere l’empatia (la capacità di comprendere il punto di vista degli altri); l’adattabilità (capacità di modificare le proprie percezioni alla luce di nuove esperienze e nuove informazioni); e la fiducia negli altri e nel futuro (il tema della speranza).
Il terzo elemento è di sviluppare la responsabilità. È la competenza trasformativa che porta gli individui a «pensare per proprio conto e a condividere». I giovani vanno preparati alla capacità di considerare le conseguenze delle proprie azioni, a un senso di responsabilità, di maturità morale e intellettuale per riflettere sulle proprie azioni e valutarle sulla base di cosa è giusto e cosa è sbagliato. E questa capacità di giudicare ha a che fare con l’etica. Essa implica la capacità di rispondere a questioni fondate su norme, valori, significati e limiti.
Dinanzi a questo quadro strategico, disegnato dagli organismi internazionali, occorre interrogarsi su quali piste di lavoro è necessario incamminarsi.
3. Piste di lavoro
3.1. Discernere e accompagnare
L’esigenza, da un lato, di poter contare nei prossimi decenni su giovani innovativi, creativi e responsabili e, dall’altro lato, il fatto che i giovani sono religiosamente in crisi, anche se aperti ai valori della spiritualità, e incerti nelle loro scelte, ci stimola a valutare quali piste di impegno imboccare per aiutare i giovani a compiere scelte consapevoli.
In tale contesto, credo che un punto fondamentale da considerare, da parte di tutti coloro che sono impegnati con i giovani, debba essere quello di aiutarli a discernere e di accompagnarli in questo processo, offrendo tutti i mezzi necessari.
Tenendo presente l’universalità e allo stesso tempo la singolarità delle persone e delle situazioni, la sfida è quella di assicurare un accurato discernimento spirituale personale, accompagnato da un discernimento ecclesiale che guidi le persone a trovare la volontà di Dio su di sé, secondo Cristo come ultimo criterio, alla luce e attraverso la forza dello Spirito Santo. È un compito che si svolge dentro un impianto trinitario: si giunge al progetto del Padre, guardando al Verbo incarnato e sostenuti dallo Spirito.
3.2. Ricostruire il patto educativo
Secondo Papa Francesco la principale urgenza per il XXI secolo è quella di un indispensabile cambio di paradigma sia per la promozione della pace universale sia per la difesa dell’ambiente. A tale proposito egli ammonisce nell’enciclica Laudato si’ sulla cura della casa comune che «l’educazione sarà inefficace e i suoi sforzi saranno sterili se non si preoccupa anche di diffondere un nuovo modello riguardo all’essere umano, alla vita, alla società e alla relazione con la natura» (n. 215).
Perciò egli sprona a rifondare il patto educativo, chiamando tutti a sanare tre fratture profonde che attraversano non solo i percorsi formativi di ragazzi e giovani, ma che stanno condizionando la vita economica, sociale e culturale ai diversi livelli.
La prima frattura da sanare è quella verticale ovvero il rapporto dell’uomo con l’Assoluto. Si tratta di una dimensione irrinunciabile nel percorso formativo di una persona. Nell’odierno contesto pluralistico – culturale, religioso, socio-economico – e nell’era delle tecnologie più avanzate e pervasive, è indispensabile tornare sempre alle origini della scoperta di Dio Amore per orientare la persona nelle scelte fondamentali della vita e nel naturale bisogno di dare significato alla propria esistenza.
Questa dimensione verticale, che è all’opposto del positivismo, incrocia quella orizzontale e insieme portano sui sentieri dell’incontro, del dialogo, della costruzione di ponti verso tutti nel rispetto, nella stima, nell’accoglienza reciproca. Quindi, porre alla base dell’esperienza il valore della trascendenza ovvero il rapporto con Dio scoperto come Amore apre subito la via all’unità, poiché più ci si avvicina a Dio, più ci avviciniamo tra noi. Questa è la base della spiritualità di comunione che introduce nella realtà più reale, cioè nella risposta all’amore attrattivo di Dio, amando il prossimo.
È da notare che questo ambito non riguarda solo l’aspetto spirituale, ma anche quello intellettuale e culturale. Di fronte all’atomizzazione del sapere e alla molteplicità delle sue specializzazioni, che avviene anche, come diceva Benedetto XVI, per avere estromesso la ragione contemplativa, si deve rispondere riscoprendo il senso e l’unità della conoscenza. Per superare il rischio di un positivismo omologante, c’è la necessità di accedere a un sapere che sia pienamente umano e umanizzante. Per questo occorre trasmettere conoscenze intese come orizzonte aperto a tutte le dimensioni, compresa quella della trascendenza.
La seconda frattura da sanare è quella orizzontale, cioè la relazione con gli altri. Si tratta di ricomporre le fratture che molto frequentemente si verificano nei rapporti con le persone che esprimono differenze culturali e religiose, con chi si trova in difficoltà economiche e sociali, con quelli con cui – quotidianamente – condividiamo l’esistenza.
Una formazione e una vita basate sul valore fondamentale della relazione aiuta a far crescere persone capaci di camminare insieme sui sentieri dell’incontro e del dialogo nel rispetto, nella stima e nell’accoglienza reciproca. La relazione accende una “passione” che spinge a raggiungere le periferie dove chi è svantaggiato ha bisogno di crescere in umanità, in intelligenza, in valori, in abitudini per diventare protagonista della propria vita e, a sua volta, portare agli altri esperienze che ancora non conoscono.
Le relazioni aiutano a passare dal “mondo oggettivo” al “mondo di vita”, cosa che può avvenire solo attraverso una “cultura dell’incontro”. Se autentiche, ci portano a vivere come un popolo, dove – come riconosceva Papa Francesco – la cittadinanza è «impegnata, riflessiva, consapevole e unita in vista di un obiettivo o un progetto comune» (EG 45).
La Chiesa, con le sue proposte formative, è sollecitata a collocarsi in questa prospettiva come soggetto attivo, animato dalla coscienza che “non serve un progetto di pochi e per pochi, di una minoranza illuminata o rappresentativa che si appropria di un significato collettivo” (EG 75).
In questa prospettiva, rifare il patto educativo richiede un cambiamento di paradigma anche nel metodo della stessa trasmissione di saperi e di conoscenze. Essa solitamente viene considerata come la costruzione di un bene “posizionale” (che aiuta, cioè, una persona a costruire se stessa e a farsi una posizione nella società, in termini selettivi); invece deve essere intesa come un bene “relazionale”, in cui il proficuo scambio didattico, emotivo e personale, consenta allo studente di crescere nella sua capacità di rapportarsi con gli altri in senso costruttivo.
La terza frattura da comporre è il rapporto tra la persona umana, la società, la natura e l’ambiente. La prospettiva finale dell’educazione, così come già veniva indicata dal documento del Vaticano II Gravissimum educationis, è quella di preparare le giovani generazioni ad essere protagoniste in grado di costruire una società fondata sulla fraternità, sull’unità e sulla pace.
La persona, formata secondo i princìpi dell’antropologia come ci è rivelata in Cristo, è un soggetto che ama il mondo e la storia, che fa cultura, che si assume la responsabilità della vita pubblica; sarà, per questo, una persona che non coltiverà solo la dimensione personale, ma anche quella politica, sociale ed economica, il bene della natura, dell’ambiente, in una parola che saprà costruire il bene comune.
«Educare all’alleanza tra umanità e ambiente» – secondo Papa Francesco – è una delle più importanti priorità educative tanto che «la coscienza della gravità della crisi culturale ed ecologica deve tradursi in nuove abitudini»9. Appare, infatti, urgente creare le condizioni per una «cittadinanza ecologica» da sviluppare nei diversi contesti al fine di educare «ad una austerità responsabile, alla contemplazione riconoscente del mondo, alla cura per la fragilità dei poveri e dell’ambiente»10.
mons. A. Vincenzo Zani
1) Cf. Fédération Internationale des Universités Catholiques, Les cultures des jeunes dans les universités catholiques. Une étude mondiale, Paris 2014.
2) Papa Francesco, Laudato si’, nn. 20-22.
3) F. Garelli, Piccoli atei crescono. Davvero una generazione senza Dio?, Il Mulino, Bologna 2016, pp. 213ss.
4) Ibid., pp. 215-217.
5) La sigla Ocse sta per Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, in inglese Organisation for Economic Co-operation and Development (Oecd).
6) Occorre considerare che l’Ocse, formulando i suoi progetti dal punto di vista dell’economia, della cooperazione e dello sviluppo, ha un’ottica funzionale all’occupazione e quindi economicistica; tuttavia offre spunti interessanti per ogni osservatore che guarda al futuro.
7) Convegno internazionale, promosso da TreeLLLe, si è tenuto a Roma il 19 settembre 2017 sul tema: Quali skills per i giovani del XXI secolo? Cosa può fare la scuola italiana?
8) Cf. M. Stevenson, Il quadro di riferimento Oecd 2030 per l’apprendimento, relazione al Convegno TreeLLLe sopra citato.
9) Laudato si’, n. 209.
10) Ibid., n. 214