Piove sulla danza di Guilherme Botelho

Una coreografia il cui meccanismo, apparentemente semplice, in realtà ha una ferrea costruzione fisica che richiede tempi matematici e ritmo interno musicale
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Avanzano carponi. Lentamente. Hanno scatti in avanti, veloci. Entrano ed escono dai due lati della scena. Scompaiono e riappaiono. In quel camminare ininterrottamente, senza mai una sosta, mutano posizione, movimenti, dinamicità, creando leggeri squilibri e improvvise rotture. Sembrano tanti, una massa. Inizialmente somigliano a creature darwiniane alla conquista della posizione eretta.

Hanno movenze da insetti; poi, nello strisciare sulla schiena, da rettili. Si raddrizzano, vacillano, riprendono a correre. Rotolano, si contorcono, si rialzano. In una costante penombra, bagnati da una luce che li immerge agli albori dell’umanità, quattordici danzatori ci ipnotizzano letteralmente in questo flusso organico che è lo scorrere della vita. L’effetto è una danza che sembra collocata su un “tapis roulant”, raffinata ed energica.

Firmata dal brasiliano Guilherme Botelho per la compagnia svizzera Alias, Sideways Rain è una coreografia il cui meccanismo, apparentemente semplice, in realtà ha una ferrea costruzione fisica che richiede tempi matematici e ritmo interno musicale. Quei sessanta minuti di ossessiva spinta in avanti, di ipnotico bombardamento visivo da rewind, hanno la forza di trascinarci in una sorta di trance senza che quasi ce ne accorgiamo. Senza distogliere gli occhi dai performer, la sensazione costante che si percepisce è quella di persone che sembrano fuggire da qualcosa o da qualcuno, e andare verso qualcuno o qualcosa di conosciuto. O di sconosciuto. Un mistero che alimenta la tensione.

La ripetitività del movimento viene interrotta da un gesto diverso, da qualcuno che si ferma e osserva gli altri. Come se la frenesia lasciasse spazio ad un respiro, subito spento. E in quella folla anonima, che non riesce a fermarsi per guardare all’altro se non per un brevissimo istante con il corpo sempre in avanti e con la sola testa che si volta, qualcuno cerca di bloccare chi gli passa davanti, nel tentativo di un contatto umano. Si corre con le braccia protese verso qualcuno, alla ricerca di un sostegno, di un conforto. Ma l’abbraccio scivola, la mano tesa non resiste alla morsa, lo sguardo volge altrove.

Fino ad un’accellerazione che vedrà tutti correre tirando ciascuno dei lunghi fili bianchi: una ragnatela da loro stessi costruita e dalla quale, allo stesso tempo, fuggono. L’effetto finale è quello di una pioggia orizzontale che li bagna. Una purificazione che è ritorno alle origini, alla libertà e all’innocenza.

Già ballerino al Grand Théâtre di Ginevra, poi fondatore della compagnia Alias, costantemente alla ricerca di situazioni o immagini evocatrici della vita, Botelho crea una densa metafora fisica dell’esistenza, con una coreografia astratta che si dispiega negli interstizi,suggestionata fortemente dal paesaggio contemplativo della musica electro minimal del compositore messicano Murcof.

A Bologna, Teatri di vita.

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