Pinocchio esce dal coma

Al festival Short Theatre di Roma, la compagnia veneta Babilonia Teatri va in scena con uno spettacolo in cui gli interpreti sono persone ordinarie che portano sul palco se stessi e il proprio vissuto di malati che per mesi li hanno tenuti in stato di incoscenza
Gli interpreti di Babilonia

C’è una verità che arriva dritta al cuore in quei corpi esposti senza il pudore della loro imperfezione e della sofferenza raccontata con levità. E, in qualche modo, vinta. Anche se, i segni di essa, sono ben visibili. C’è un inizio scomodo, che genera disagio, nel loro ingresso lento dalla sala verso il palcoscenico. Il pietismo è in agguato. Ma ben presto cede il posto ad una partecipazione profonda, umanissima, di spiazzante autenticità. Paolo Facchini, Luigi Ferrarini e Riccardo Sielli, portano sulla ribalta il loro vissuto di persone segnate dall’esperienza del coma. Esistenze spezzate da incidenti improvvisi. C’è ironia, leggerezza, sincerità nel loro raccontarsi.

Sollecitati da un intervistatore fuori campo, sulla traccia di un copione abbozzato, vengono poste domande, si scherza e si crea con loro la rappresentazione. Si strappano, con rispetto, confidenze intime, offre appigli per scavare e guidare nei ricordi. Eccoli ricostruirsi un’identità con l’aiuto del teatro, già praticato nella struttura bolognese “La casa dei risvegli” , dove sono ospitate persone in fase post-traumatica dopo un periodo di coma  e da dove provengono anche gli attori. Solo pochi oggetti scenici, brevi musiche e infine l’emozionante volo di Luigi dopo che i fili invisibili dei tre, che rende il loro claudicare simile a quello di burattini, si sono spezzati.

Abbiamo chiesto ai due autori di Babilonia Teatri, Valeria Raimondi ed Enrico Castellani, come nasce lo spettacolo Pinocchio è una favola nota: perché metterla in scena con persone uscite dal coma?

Ci è stato dato un indirizzo: via Altura 3 Bologna. Siamo arrivati davanti a un ospedale. Abbiamo chiesto se era lì la sede della compagnia “Gli amici di Luca”. In fondo al corridoio sulla sinistra: Sala del Durante. Domanda nostra: perché fate teatro? Risposta loro: La società ci ha respinti, accantonati, isolati, fare teatro è l'unica possibilità per tornare a mettere un piede dentro la società. Il teatro ci permette di tornare a realizzarci, ad affermarci, a riconoscerci. Ci permette di gridare il nostro malessere, di rivendicare il nostro ruolo, di esprimere la nostra umanità.

Una scelta coraggiosa quella di portare in scena simili vissuti…

Ci siamo innamorati di loro. Della loro autenticità. Della loro imperfezione. Della loro sporcizia. Abbiamo trovato in loro uno specchio della società reale. Persone lontane da noi. Con vissuti, esperienze e modi di pensare che non ci appartengono, che non appartengono alle persone che frequentiamo. Abbiamo incontrato quel mondo che sempre vogliamo fotografare, raccontare e restituire. Un'umanità da ascoltare e amplificare senza pietismo, paternalismo né razzismo.

Cosa rappresenta Pinocchio?

Pinocchio è la loro umanità. Le loro e le nostre debolezze e incoerenze. L'eterno contrasto tra innocenza e consapevolezza, assunzione e fuga dalle responsabilità. Pinocchio è una scelta di campo. Ascoltare il grillo parlante o il gatto e la volpe, andare a scuola o entrare nel teatro di Mangiafuoco, seguire Lucignolo o chiedere consiglio alla fata, ubbidire al padre o fare di testa propria. Pinocchio rappresenta le nostre tentazioni, le nostre contraddizioni, le nostre bugie.

Pinocchio risponde in qualche modo al vostro bisogno di fare un teatro, definiamolo necessario?

Sì. Un teatro dove la vita irrompe sulla scena con tutta la sua forza senza essere mediata dalla finzione. Dove l'attore “non attore” mette in gioco il suo vissuto, la sua inconsapevolezza, la sua sincerità. Dove ad essere determinanti non sono la perizia e la tecnica ma la verità di corpi e vite che parlano da soli. È questo il nostro paese dei balocchi.

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