Pino Daniele: un innamorato della musica

Pino Daniele una delle più grandi voci del cantautorato nostrano s’è spento nella notte stroncato da un infarto nella sua casa in Toscana. Il grande artista napoletano avrebbe compiuto sessant’anni il prossimo marzo: con lui se ne va una delle figure di maggior spicco della moderna canzone italiana, quella capace di dare attualità alla sempiterna tradizione partenopea.
PINO DANIELE

M’addolora molto ammetterlo, ma di questi tempi chi fa il mio mestiere si ritrova a scrivere più necrologi che recensioni. Ma al di là delle frasi di circostanza resta una constatazione fors’anche più dolorosa, poiché anche questo è un indicatore di ciò che sta avvenendo nella nostra musica popolare: se ne sta andando un’intera generazione di maestri, e se da un lato è naturale che sia così, dall’altro tocca rilevare che salvo rare eccezioni al loro posto non ne sta nascendo un’altra dotata d’ugual talento e personalità.

Pino Daniele, così come Joe Cocker e Mango cui abbiamo dato l’addio poche settimane fa, era un pezzo unico, per quanto risultasse tra i più scimmiottati dalle nuove leve. Il suo falsetto morbido e sinuoso, così come la sua capacità di fondere il blues con la mediterraneità erano, ad un tempo, il segno di un immenso talento naturale, di un’espressività costruita faticosamente nel tempo, e di un temperamento incapace di genuflettersi ai diktat dei mercati, ma spesso capace di giocare in anticipo sulle mode. Pino era innamorato della Musica, non solo della sua, beninteso; anche per questo ha costruito la sua avventura sacrificandole certi facili guadagni per privilegiare collaborazioni (talvolta costose e complicate) con quelli che a sua volta erano i suoi ispiratori, da Pat Metheny a Massimo Troisi e tanti altri grandi, e per questo non l’ha mai usata per farne proclami sociologici. E tuttavia molte delle sue canzoni, da Terra mia a Jè so’ pazzo con le quali cominciò a farsi conoscere, da Il Mare a Quando, fino alle sue composizioni più recenti, pur girando ben alla larga dalla politica han saputo raccontare la sua terra e i malesseri della sua gente come poche altre.

Da capofila del cosiddetto neapolitan power che negli anni Ottanta lo consacrò tra i grandi del nuovo pop italiano, diventò ben presto un artista di caratura internazionale. Anche se da tempo, com’è naturale, aveva perso un po’ dello smalto dei suoi anni ruspanti, la sua carriera è sempre stata trapuntata da confronti e collaborazioni memorabili: coi più grandi del jazz del suo tempo, come coi big del made in Italy, da  Ramazzotti (che per primo ne ha annunciato la morte sui social) a Baglioni e Mina, dai conterranei Almamegretta ed Avion Travel, fino a De Gregori e Jovanotti, e per ultimo, un rapper al vetriolo come J-Ax. Uno capace d’amare Robert Johnson e Roberto Murolo, il jazz-rock e la tarantella, il soul e la dance.

Non aveva un carattere facile. A volte, come molti altri grandi, dava l’impressione d’essere un po’ spocchioso ed indolente, in realtà era solo schivo e del tutto disinteressato a flirtare opportunisticamente coi media, o almeno questa è l’impressione che mi ha dato quando ho avuto modo d’incontralo. Un artista capace, proprio come le sue canzoni, di irruenze rabbiose e di straordinarie dolcezze. Del resto il suo mondo era davvero tutto dentro la musica, quella di ieri e quella di oggi, preferibilmente sudando su un palco; non a caso una delle sue interpretazioni più intense fu il duetto con un mammasantissima come Eric Clapton in Wonderful Tonight.

Ci lascia una trentina di album (tra cui sei live), un numero impressionante di collaborazioni e duetti, alcune incursioni cinematografiche, tra cui la colonna sonora di Le vie del signore sono finite; la sua ultima apparizione nel recente capodanno, nel concertone di Rai Uno in diretta da Courmayeur. Inutile aggiungere che molte delle sue canzoni sono parte di un patrimonio artistico che continuerà a brillare nel tempo, e a vibrare nei nostri cuori.

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