Pigiama computer biscotti
Gli ultimi venti anni non ci hanno solo portato il trionfo al botteghino dei film tratti da fumetti di supereroi; hanno anche sancito la presenza massiccia e continuativa dei fumetti nelle librerie. Da qualche ripiano fra i libri per l’infanzia a veri e propri angoli o corsie dedicate alla nona arte. Affiancati a raccolte di supereroi, manga e edizioni in volume dei più importanti fumetti popolari da edicola italiani non mancano i fumetti di graphic journalism (reportage giornalistici a fumetti), quelli divulgativi, le biografie di personaggi famosi e, infine, le graphic novel intimistiche, racconti in prima persona di vicende personali (dalla malattia ad un amore ad un rapporto parentale difficile e così via). La casa editrice milanese Bao Publishing, nei suoi dieci anni di vita, non ha mancato di pubblicare volumi praticamente di ogni genere di fumetto.
Alberto Madrigal, spagnolo, classe 1983, ha conquistato per la prima volta gli scaffali delle librerie italiane nel 2013, proprio con la Bao, con la graphic novel Un lavoro vero.
Seguito poi nel 2015 da Va tutto Bene e successivamente Berlino 2.0. Lo scorso anno ha pubblicato il volume Pigiama Computer Biscotti, facilmente ancora reperibile in libreria. Trasferitosi dalla Spagna in Germania nel 2007, ha iniziato a lavorare e guadagnare i primi soldi come illustratore freelance e poi per studi pubblicitari: i suoi libri a fumetti ci consegnano racconti in prima persona con un taglio molto disincantato e apparentemente pessimistico.
Il suo ultimo lavoro è il racconto del suo diventare padre, di come l’evento della nascita di un figlio abbia impattato sulla sua vita professionale, sulla sua stabilità emotiva, su tutto quello che lui era prima del “lieto evento”. Non ci è dato sapere né interessa quanto di quel che racconta Madrigal nel libro è vero e quanto è narrazione e finzione, alla fine poco importa. Il risultato è un libro che è chiaramente frutto del “sentire” dell’autore, nel quale sono riversate molte sensazioni personali e riflessioni serie e amare.
L’autore racconta, nel volume, la genesi del volume stesso: inizialmente avrebbe dovuto scrivere un altro fumetto, con una trama diversa, in parte già iniziato. La nascita del figlio e lo scombussolamento della vita sua e di coppia ha portato ad un serio ripensamento e, nel fumetto, viene raccontato tutto questo.
L’albo è disegnato in toni di grigio; lo stile grafico dell’autore è ormai facilmente riconoscibile. Spesso gli sfondi sono solo “dipinti” (in grigio) e le vignette neanche contornate. L’attenzione del lettore non si disperde in mille tratteggi, è focalizzata sul portamento e sulle espressioni dei personaggi principali. L’essenzialità del disegno è componente essenziale del racconto.
Madrigal è, senza ombra di dubbio, un narratore efficace; in particolare, la sua sembra essere diventata la voce ufficiale di una generazione di professionisti free lance. I suoi racconti sono disamine quasi antropologiche di una situazione piuttosto complicata e fanno trapelare, in maniera indiretta, giudizi ben poco lusinghieri sul come sia facile vivere di opere di ingegno in Europa in questo tribolatissimo ventunesimo secolo.
In tutto questo, già affrontato nel volume di inizio, questa volta si innesta una tematica molto di attualità e decisamente nuova nella narrazione (a fumetti, nei romanzi, nei film), il punto di vista dei padri e la genitorialità “maschile”. Son necessarie le virgolette perché, chiaramente, l’essere genitori non ha sesso anche se nella nostra accezione comune il padre e la madre sono ben diversi ed hanno caratteristiche e magari compiti diversi. Già da molti anni questa concezione un po’ arcaica viene superata dai racconti di padri che rifiutano la competizione con le madri e che raccontano il loro essere genitori consapevoli. Madrigal, in crescendo, spiega come ha sciolto tutte le sue preoccupazioni ed i suoi dubbi, come ha iniziato ad affrontare la sua nuova vita da padre, come può essere assolutamente soddisfacente e realizzante diventare genitori che parlano solo dei figli, che si lamentano per non andare più a teatro, che fanno le vocine ai figli. Perché, in fondo, questo è l’amore che li ha fatti nascere, i figli.