Pietro Bembo e l’invenzione del Rinascimento

Nella casa padovana del letterato sono state raccolte ed esposte al pubblico in questi giorni opere ormai disperse in vari musei del mondo, che richiamano quel clima in cui fu di fatto “inventato”, nei gusti, nei contatti, nello stile di vita, nelle opere, il Rinascimento
Pietro Bembo e l’invenzione del Rinascimento. In mostra a Padova

Un letterato veneziano in carriera. Colto, amante della vita di corte, fra Urbino e Ferrara – dove si lega con una forte amicizia con Lucrezia Borgia – Pietro è un uomo fortunato. Ha qualcosa di geniale, nel suo profilo aguzzo, dal lungo naso, la mascella volitiva e gli occhi dardeggianti. È un passionale, anche se nei Dialoghi d’amore intitolati Gli Asolani – composti per Caterina Cornaro, regina di Cipro ed “esiliata” nel ridente Asolo nel Trevigiano – scrive di amore platonico. Platonico non è certo nella vita privata, se avrà da una sua donna dei figli. Ma questi erano tempi liberi.

Quello che importa è che il Bembo, che arriva a diventare segretario del papa Medici Leone X – un esteta raffinato – compone un altro trattato, Le Prose della volgar lingua, in cui di fatto unifica per la prima volta la lingua letteraria italiana sul modello toscano, destinata a far scuola fino a Manzoni ed oltre.

In contatto con l’intellighenzia del suo tempo, Pietro ama l’arte. È amico di Raffaello e di Tiziano che lo ritrae più volte. La tela più famosa è quella in cui appare, con la faccia dello studioso e la lunga barba candida, dopo che Paolo III lo ha nominato prete e cardinale, un omaggio a un uomo di cultura straordinaria, fatto per ingraziarsi il movimento umanistico.

C’è di più. Bembo fonda la prima raccolta privata d’arte nella sua casa padovana, luogo di visita di dotti e artisti. Perciò la rassegna che Padova gli omaggia fino al 19 maggio (catalogo Marsilio) resta un'occasione unica per ritrovare il clima di un uomo che di fatto ha “inventato”, nei gusti, nei contatti, nello stile di vita, nelle opere, il Rinascimento.

La mostra è bellissima. Compaiono opere di Giorgione, in quel clima sul 1510 di preromanticismo sentimentale, come quel Ritratto d’uomo col libro da San Francisco, che è forse un ritratto di lui, giovane gentiluomo zazzeruto dallo sguardo assorto. Una medaglia di Lucrezia Borgia, un marmo di Isabella d’Este, un ritratto del duca d’Urbino Francesco Maria della Rovere (di Giorgione), una copia arabescata del Cortegiano di Baldessar Castiglione dicono della vita del Bembo fra le corti di Ferrara, Mantova e Urbino, ossia i centri della cultura rinascimentale.

Una Madonna di Raffaello, il ritratto di due letterati amici dipinti sempre dal Sanzio come Navagero e Beazzano raccontano la vita di Pietro in Vaticano, le sue passeggiate con gli amici a Tivoli e per le rovine romane, la riscoperta dell’antichità classica. I busti e le medaglie antiche, il drammatico san Sebastiano del Mantegna, i rilievi del Vittoria narrano infine gli anni del Bembo cardinale, che ancora guarda con gesto eloquente dalla tela che l’amico Tiziano gli ha dipinto.

Ed è l’immagine del dotto dalla lunga barba e dagli occhi aguzzi quella che rimane fissa dopo aver visitato la rassegna.

La quale dice un’epoca indimenticabile, che purtroppo non esiste più, perché le opere sono disperse nei musei. Ma ora, per alcune settimane, sono ritornate nella casa padovana del letterato. Meritano davvero una visita nella città veneta.

Padova, Palazzo del Monte di Pietà. Fino al 19/5.

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