Pietre sul cuore
Vi sono libri atroci e stupendi che richiedono coraggio per essere letti, capaci però di portare oltre la stessa ferita che hanno contribuito ad aprire, verso una dimensione di umanità purificata. Pietre sul cuore è uno di questi libri. Lo ha scritto con l’anima Alice Tachdjian, figlia di genitori armeni scampati al genocidio del 1915, col supporto dei diari, lettere e ricordi della madre, morta nel 1990 in un cronicario parigino; cercando “di lasciare intatti la sua scrittura semplice e sintetica e il modo ingenuo e poetico di vedere il mondo”. È l’odissea di un intero popolo vista con gli occhi di una bambina e poi donna. Varvar ossia “Scintillante” – tale è il significato del suo nome – ha solo sei anni quando nel suo quasi idilliaco villaggio anatolico, un giorno d’estate del 1915, irrompe una squadra di militari turchi a cavallo. Uomini e ragazzi vengono sequestrati per poi essere fucilati, mentre per i superstiti – donne, bambini e vecchi, tra cui la piccola Varvar, ancora incapace di spiegarsi quelle visioni da incubo – inizia la deportazione: una lunga colonna di infelici in marcia verso la morte. Varvar tuttavia è tra i pochi fortunati che riesce a scampare allo sterminio degli armeni pianificato dal governo nazionalista turco. Salvata da un soldato, è dapprima accolta come serva da una famiglia turca, poi affidata all’orfanotrofio di Sivas. Al termine del primo conflitto mondiale gli orfani armeni assommano a migliaia: considerati anche loro nemici dal governo di Ataturk, vengono espulsi assieme ai missionari che se ne sono presi cura. Così Varvar prova di nuovo la fuga, questa volta verso la Grecia, in un viaggio quasi privo di speranza la cui tappa finale sarà la Francia: una nuova patria dove, unitasi in matrimonio ad un altro giovane profugo come lei, ricostruirà tra mille stenti una propria famiglia. Tra i molti raccapriccianti episodi rievocati da Varvar, quello in cui la zia e la nonna, incolonnate verso la morte, schiacciano “dolcemente” il neonato della prima fra le loro schiene, perché non provi gli orrori della fame: a tali estremi possono giungere la disperazione e l’amore materni! Ancora oggi la Turchia nega la realtà storica del genocidio perpretrato in Anatolia, e solo negli anni Settanta – riaperto il “caso” nelle sedi internazionali – l’olocausto armeno è stato riconosciuto dall’Onu e poi dal Parlamento europeo. Pietre sul cuore ha il merito di riportare alla luce questa pagina di storia troppo a lungo dimenticata, rimossa, coinvolgendo il lettore nel dramma dei sopravvissuti, dei profughi, dei senza diritti. E ciò senza risentimenti, avendo anzi trasformato l’odio in perdono: perché lo sguardo puro (purificato) della piccola Varvar, sorretta da una fede che tutto sopporta, è sopravvissuto nella donna ottantenne. “In fondo – confessa al termine del suo racconto – è stato bello vivere, nonostante tutto, perché la vita è vita, e ogni giorno che giunge è un dono che trascende la nostra volontà. Quando ormai tutto entra nel passato, quando il percorso dell’emigrante è terminato, allora, e solamente allora, la memoria può ricomporsi e ricordare diventa rivivere… “Continuerò a scrivere le mie memorie, e un giorno i miei nipoti e pronipoti le leggeranno, e forse insegneranno ai loro figli la poesia che insegnai ai miei tanto tempo fa: “Io sono un bambino armeno/ di razza armena./Parlo la lingua di Hayg Aram./Non ho trono,/né corona d’oro,/né diamanti./Ma ricco è il mio cuore,/umile anche…””. L’OLOCAUSTO ARMENO Situata tra gli altipiani dell’Iran e dell’Asia Minore, il Mar Nero, le pianure della Transcaucasia e della Mesopotamia, l’Armenia “storica” copriva un’area di circa 400 mila chilometri quadrati. Simbolo della sua unità il monte Ararat, la vetta più elevata del Caucaso. Primo stato cristiano nel mondo (inizi del IV secolo), riuscì durante i secoli a destreggiarsi tra l’area di influenza arabo-islamica e quella bizantina. Ridottasi nella regione della Cilicia (l’odierna Anatolia), da regno indipendente l’Armenia venne incorporata nell’impero turco (1453).Verso la fine del XIX secolo però tra i due popoli sorsero contrasti sempre più aspri per le rivendicazioni sollecitate dai partiti politici armeni all’estero e i maneggi russi. Lo scoppio della prima guerra mondiale fornì al governo ultranazionalista turco il pretesto per attuare violente repressioni fra gli armeni,”colpevoli” di essere cristiani, di avere una propria lingua ed una cultura millenaria, e inoltre di impedire il progetto di ricongiungere Istanbul ai popoli turcofoni dell’Asia centrale. Oltre un milione e mezzo sarebbero gli armeni massacrati durante la guerra russo-turca (1914-17). I dispersi furono mezzo milione: i due terzi della popolazione armena. Altre centinaia di migliaia seguirono la via dell’esodo. Su questa pagina tristissima di storia, che ha fornito il “modello” per i successivi genocidi del XX secolo, segnaliamo ancora: – Gli armeni, di Yves Ternon (Rizzoli, pp. 430, 20,00. Pubblicato nel 1977, aggiornato nel 1996 ed ora riproposto per la prima volta in Italia, questo testo del medico e storico francese ricostruisce con grande passione civile la storia di questo popolo perseguitato, contribuendo a farci riflettere sul tema attualissimo della sopravvivenza delle etnie, e delle culture di fronte a un nazionalismo segnato dall’intolleranza razziale e religiosa. – La vera storia del Mussa Dagh, di Flavia Amabile e Marco Tosatti (Guerini e Associati, pp. 158, 14,00). Nel 1915 gli armeni di alcuni villaggi della costa siriana si ribellarono alla deportazione e diedero vita ad un’epopea che negli anni Trenta ispirò a Franz Werfel il capolavoro I quaranta giorni del Mussa Dagh. La loro eroica resistenza rivive in questo dossier che si avvale di documenti dell’epoca, per la prima volta tradotti in italiano. Acuta e vibrante la presentazione di Vittorio Messori. Alice Tachdjian, Pietre sul cuore, Sperling & Kupfer, pp. 224, 15,00.