Pietra d’inciampo
Le opere e la vita di Simone Weil (1909-1943) continuano ad essere provocazione e richiamo per la cultura e la Chiesa di oggi.
Cento anni fa nasceva a Parigi Simone Weil, una delle più importanti figure del Novecento. Allieva di Alain, filosofo e maestro di numerosi intellettuali francesi dello scorso secolo, Simone fu insegnante di liceo e sindacalista.
Nemica di ogni forma di totalitarismo e profondamente critica verso ogni forma di idolatria, avversava quelli che chiamava i «sognatori di giorno», individui disposti a fare qualsiasi cosa, a commettere qualsiasi crimine, per realizzare appunto il proprio sogno.
Simone fu operaia di fabbrica, partecipò alla guerra di Spagna, e quindi fu esule in America, perché di origine ebrea, anche se distante, come più volte aveva precisato, dalla cultura e tradizione ebraica. Infine si stabilì a Londra, impegnata nella Resistenza. Proprio in Inghilterra, affetta da tubercolosi, morì nel sanatorio di Ashford, nel 1943.
Quella di Simone, come rilevano Attilio Danese e Giulia Paola Di Nicola, è una figura che «sfugge ad ogni catalogazione, una pietra d’inciampo per le ideologie, i massimalismi contrapposti, le cadute della cultura postmoderna. Comunista e anticomunista, agnostica e mistica, pacifista e battagliera, intellettuale e operaia, Simone esercita un deciso fascino sulle culture occidentali e orientali a testimonianza della sua vocazione interculturale e interreligiosa: “Tradirei la verità se abbandonassi la posizione in cui mi trovo sin dalla nascita, cioè il punto di intersezione tra il cristianesimo e tutto ciò che è al di fuori di esso”».
L’Uomo
Nell’antropologia della Weil è forte, specialmente nell’ultima fase, il legame che unisce libertà e salvezza, libertà e gioia-realizzazione dell’uomo. La possibilità della libertà passa in ogni caso per la rinuncia all’esistenza personale e alle ragioni dell’“io”, che deve cedere il passo ad Altro e disporsi ad essere come un nulla d’amore per gli altri. «La compassione muta del Padre per il Cristo. Questa compassione per sé stessi è ciò che un’anima pura prova nella sventura. Un’anima pura prova la stessa compassione davanti alla sventura degli altri. L’amore che unisce il Cristo Abbandonato sulla croce a suo Padre attraverso una distanza infinita abita in ogni anima santa. Un punto di questa anima è stabilmente presso il Padre» (Quaderni IV , Adelphi).
In questo contesto, Weil critica ogni concezione che pone al centro la persona quale titolare di diritti dell’io e negatrice della radice soprannaturale della socialità. È convinta che soltanto un flusso di spiritualità sia all’origine di ogni grande civiltà e di un rinnovato umanesimo.
La Verità
Nonostante la pluralità degli interessi, costante della produzione weiliana è il tentativo di ricomprendere i vari aspetti della realtà quali espressioni «della verità» come «soffio inviato dal Padre».
Simone scrive: «Non si deve parlare di amore della verità, ma di uno spirito di verità nell’amore». La verità è un dono che «è sempre presente nell’amore reale e puro» (Quaderni IV, cit. p. 382). Tale verità è l’“originario”, la fonte di ogni dire e fare.
«Dio è la fonte della realtà», rileva la Weil e pertanto a tale verità originaria vanno ricondotte tutte le produzioni spirituali, artistiche, musicali, poetiche e, in modo speciale, i miti. Il mito infatti è lo “spazio narrativo di relazione”, fondamento dell’umanesimo relazionale weiliano.
Miti sono racconti che, in modo esemplare e meglio di ogni altra forma letteraria, esprimono gioie e dolori che l’umanità intera ha vissuto e continua a vivere. Essi – tramandati in diverse forme e linguaggi – hanno a che fare con una certa attività dell’uomo e insieme sono il riflesso del soprannaturale, del Verbo.
«Il Verbo – scrive Weil – è il silenzio di Dio nell’anima. È il Cristo in noi». Altrove, qualificando l’origine di ogni produzione spirituale, scrive: «Il grido del Cristo e il silenzio del Padre compongono insieme la suprema armonia, quella di cui ogni musica non è che un’imitazione».
Battesimo
Nel recente convegno internazionale organizzato a Teramo, gli organizzatori Attilio Danese e Giulia Paola Di Nicola hanno sottolineato come si è fatto chiarezza su un aspetto particolarmente controverso della vicenda esistenziale e spirituale weiliana: l’esitazione di fronte al battesimo. «Simone Weil fu battezzata – ha affermato al convegno Eric O. Springsted, professore della Princeton University e pastore presbiteriano –, come testimonia direttamente Simone Deitz, l’amica che versò l’acqua sulla sua fronte e recitò la formula della Chiesa col consenso di Simone».
In almeno due lettere Simone aveva espresso le ragioni del suo rifiuto del battesimo. «Si trattava della paura di appartenere a un gruppo, Chiesa inclusa – continua Springsted –, perché, secondo lei, l’istinto di aggregazione ha la capacità di cancellare il pensiero e l’immaginazione morale».
Solo nel 1960 cominciarono a diffondersi voci che sostenevano che lei fosse stata battezzata in extremis da una persona laica. Il fatto che Simone fu battezzata non elimina, come rilevano opportunamente i Danese, le precedenti obiezioni weiliane, specialmente quelle filosofiche, «nelle quali asseriva che la richiesta della Chiesa di un’adesione intellettuale al dogma, come criterio per ricevere il battesimo, fosse illegittima. Non c’è nessuna ragione di pensare che lei abbia abbandonato quelle obiezioni».
E proprio il tema del difficile rapporto con la Chiesa cattolica, in bilico tra le critiche mai sopite e quella che la Weil considerava, a torto o a ragione, la sua vocazione “della soglia”, è sottolineato dal gesuita Piersandro Vanzan al convegno di Teramo. Egli rileva che Simone sceglie di ancorarsi col cuore e la mente all’essenza unitaria delle grandi religioni, lasciando da parte i dogmi, le istituzioni, i gruppi ecclesiali e le proclamazioni.
Sente il bisogno di attingere al divino per quella via negativa che resta segreta anche all’anima di chi cerca Dio. Perciò le opere e la vita di Simone sono un’inquietante provocazione, non solo in quanto critica radicale e vigorosa alla cultura moderna, ma anche come sfida feconda di possibili sviluppi per la Chiesa.