Pierluigi Di Piazza, uomo di frontiera

La testimonianza di una vita intera del sacerdote fondatore del Centro di accoglienza e di promozione culturale “Ernesto Balducci” di Zugliano di Pozzuolo del Friuli. Don Pierluigi Di Piazza ha dedicato la sua vita a realizzare una Chiesa povera e coerente con il Vangelo
Pierluigi Di Piazza, foto Centro Balducci

Uomo di frontiera, costruttore di pace e testimone di umanità. Questo è stato e continuerà ad essere nel cuore di molti don Pierluigi Di Piazza, sacerdote di origini carniche, presidente e fondatore del Centro di accoglienza e di promozione culturale “Ernesto Balducci” di Zugliano di Pozzuolo del Friuli (Udine), morto nel primo pomeriggio di domenica 15 maggio dopo una breve e grave malattia.

Un uomo che amava profondamente le periferie esistenziali, tanto da farne la cifra del suo vivere e del suo essere sacerdote al servizio costante dei più fragili della società. Aveva negli occhi il Regno di Dio che predicava in parole ed azioni. In quegli occhi azzurri in cui, lo si vedeva bene, poteva starci il Cielo intero, tutti potevano trovare una casa accogliente e un ascolto attento, fatto a volte di silenzi e a volte di parole, ma sempre di presenza.

Nato a Tualis di Comeglians (UD) il 20 novembre 1947, era prete dal 1975; si è laureato in Teologia nel 1994 all’Università San Tommaso d’Aquino di Roma e ha insegnato nelle scuole per 30 anni.

Il suo modello di sacerdozio lo aveva trovato in almeno tre figure di riferimento che non abbandonò mai nel suo cammino: Lorenzo Milani, Oscar Romero e poi Ernesto Balducci, al quale nel 1989, appena giunto in parrocchia a Zugliano, volle dedicare il Centro di accoglienza e di promozione culturale appena nato, esempio di quella che si è dimostrata negli anni un’accoglienza concreta e costruttiva di dignità umana e di integrazione.

In questi decenni il Centro ha accolto un migliaio di profughi e migranti da oltre 50 Paesi del mondo, accompagnati tutti in un percorso di integrazione completa nella società italiana: un’integrazione che era addirittura presupposto dell’accoglienza. Fra gli attuali cinquanta ospiti del Centro, anche profughi dall’Ucraina, una famiglia siriana e una famiglia afgana arrivata nei giorni scorsi.

Molto legato all’amico don Luigi Ciotti, dal quale ha avuto la gioia di esser visitato nei suoi ultimi giorni, ha condiviso il cammino di “Libera – Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”, prendendo parte anche agli appuntamenti annuali estivi dei sacerdoti legati a “Libera” e donando riflessioni sempre profonde e ricche di spiritualità.

Forte anche il suo impegno di denuncia sul tema delle spese militari e sul pericolo rappresentato armi nucleari. Come uomo di fede e profondamente impegnato, ha sempre dimostrato una grande apertura all’ecumenismo e al dialogo fra le religioni, percorrendo costantemente ideali di giustizia e di salvaguardia del Creato in sintonia con papa Francesco.

Convinto che la cultura fosse la base del cambiamento e dell’apertura verso gli altri, ha fatto del Centro Balducci anche un importante riferimento di promozione culturale ove, in questi anni, si sono confrontati importanti testimoni del nostro tempo tra questi il Dalai Lama e il Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel (ma anche tanti altri importanti esponenti della cultura e del giornalismo, della magistratura e dell’economia, del sindacato e della politica), confronti dai quali scaturivano sempre nuovi, concreti percorsi di responsabilità.

Già profondamente segnato dalla malattia, lo scorso 7 maggio ha partecipato, con una faticosa diretta telefonica, al convegno internazionale da lui promosso presso il Centro “Balducci” su “I campi di confinamento nel XXI secolo e le responsabilità dell’Unione Europea”; con parole pronunciate con fatica aveva invitato a uscire dall’indifferenza e a guardare le persone migranti con gli occhi del cuore. In uno dei suoi ultimi interventi aveva esortato a non osare di «utilizzare il messaggio del Vangelo per propagande razziste e neofasciste».

Uomo di pace, mite e dalla voce ferma, con la capacità di saldare la terra al Cielo e intravedere spiragli di luce laddove sembrano dominare le tenebre, non si risparmiava a viaggiare per dialogare e confrontarsi per costruire, insieme a chiunque fosse disponibile – credente o non credente –, «un mondo dove gli esseri umani siano liberati dal potere che domina, dall’ingiustizia e dalle guerre che uccidono; dalle discriminazioni che mortificano ed escludono; dalla prepotenza nei confronti dell’ambiente naturale e di tutti gli esseri viventi. Un mondo in cui le persone si accolgono e si riconoscono, in cui si possa vivere più sereni».

Per questo motivo era chiamato in tutta Italia perché le sue parole potessero essere da stimolo e da confronto con vari uditori. Compagno di tante battaglie per l’affermazione dei diritti delle persone, tra cui il mondo LGBTQ+ e – come ha ricordato sui social il presidente della Federazione Nazionale della Stampa Beppe Giulietti – la richiesta di verità e giustizia per Giulio Regeni, negli anni è riuscito con alcuni preti amici del Friuli Venezia Giulia e del Veneto, che condividevano gli stessi ideali, a creare una rete che li ha portati a trovarsi periodicamente per affrontare le questioni di fondo sempre con uno sguardo dal basso, dal più piccolo, povero ed escluso, aiutandosi ad affrontare la solitudine che spesso quello sguardo porta con sé. Dagli stimoli maturati in quegli incontri è nata la “Lettera di Natale”, che da quasi vent’anni è attesa perché di questa festa non siano traditi i valori di umanità e accoglienza e siano affrontati i nodi cruciali del nostro tempo.

Solamente un anno fa aveva accettato la presidenza del presidio regionale di Articolo 21, ricordando in quell’occasione che «un’informazione veritiera è indispensabile per costruire appunto informazione vera, consapevolezza, presa di posizione e azione perché le istituzioni e la politica non restino nella loro inaccettabile distanza», con il Vangelo da una parte e la Costituzione dall’altra — sono sempre parole sue — «come guida, verifica, rilancio continuo di prospettive, vincolo a quell’etica laica della costruzione quotidiana del bene comune, a cominciare dall’eliminazione delle tante disuguaglianze».

Giornalista pubblicista, ha collaborato fino all’ultimo con diversi giornali e riviste, ma ha avuto al suo attivo anche numerose pubblicazioni su grandi temi di attualità: dal fine vita (“Vivere e Morire con dignità” con Beppino Englaro, Giulia Facchini Martini e Vito Di Piazza) al dialogo tra credenti a non credenti (“Io credo. Dialogo tra un’atea e un prete, scritto insieme all’astronoma Margherita Hack), fino al grande tema delle migrazioni e dell’accoglienza (“Non girarti dall’altra parte. Le Sfide dell’Accoglienza”).

Don Pierluigi ha dedicato la sua vita a realizzare una Chiesa povera e coerente con il Vangelo; ha insegnato ad amare l’umanità prima delle appartenenze, gli ultimi prima di chi conta, la laicità di tutte e tutti prima del clericalismo. La sua è una testimonianza di vita, che diventa eredità preziosa ed impegnativa per ciascun uomo e ciascuna donna: per chi ha avuto il dono di conoscerlo e di fare un pezzo di strada con lui, ma anche per chi avrà modo di incontrarlo attraverso le sue parole, le sue opere e i semi che continueranno a portare frutto.

Dopo le esequie nella Sala “Petris” del Centro Balducci (dal Canale YouTube del Centro Balducci per partecipare anche a distanza) don Pierluigi sarà tumulato a Tualis, suo paese natale, dove resterà in “collocazione provvisoria” in attesa della resurrezione.

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