Piergiorgio, un uomo dalla grande storia

“L’intelligenza del cuore” è la biografia di Piergiorgio Colonnetti scritta da Franz Coriasco per i tipi di Città Nuova. Attraversa la storia contemporanea e quella dei Focolari alla scoperta di un uomo semplice, umile, all’apparenza normale, in realtà una persona straordinaria.
Piergiorgio Colonnetti

Non si comprende la storia di Piergiorgio Colonnetti senza conoscere le sue radici: figlio di uno dei più illustri luminari dell’Italia novecentesca, Pier Giorgio ha conosciuto e vissuto sulla propria pelle i disastri dell’era fascista e i drammi della Seconda Guerra Mondiale, ha attraversato con entusiasmo e straordinaria intensità tutti i travagli del Novecento, in un continuo susseguirsi di sorprese, pubbliche e private. Affascinato dalla spiritualità di Chiara Lubich è entrato nel Movimento dei Focolari negli anni Cinquanta e vi è rimasto fedele fino alla fine, ricoprendo a lungo incarichi di primissimo piano. Scomparso nel 2013, una biografia di Franz Coriasco, un suo amico di lunga data, un non credente affascinato dalla figura di Piergiorgio, ne ripercorre, in ordine rigorosamente cronologico, le tappe salienti. Nostra intervista all’autore.

Cosa l’affascina di Piergiorgio?

«La sua capacità di coniugare dolcezza e determinazione, acutezza d’analisi e concretezza d’azione, sense of humour e profondità spirituale. Un uomo semplice eppure straordinario, le cui vicende sono, insieme, un luminoso esempio di fedeltà ai valori cristiani e un universale inno alla vita e alla concretezza dell’amore».

Scrivere biografie di “cristiani comuni” è talvolta difficile se non ci sono atti eroici o avventure straordinarie. Piergiorgio era una persona “normale”, anzi “normalissima”. Perché allora scrivere addirittura un libro su di lui?

«Per un senso di gratitudine nei suoi confronti tenendo conto che non sono un biografo. Lo faccio per il legame con Piergiorgio Colonnetti e su richiesta della famiglia. Piergiorgio non era una persona normale ma straordinaria. Il suo modo di affrontare la vita, low profile, molto piemontese, è frutto di un lavoro su se stesso, su una umiltà come cifra saliente del suo modo di essere».

Piergiorgio era figlio di genitori di grandissimo spessore culturale e politico. Che cosa ha preso da loro?

«La sua storia dimostra il peso che può avere un ecosistema familiare nel bene e anche nel male. Non è tutto oro quel che luccica, ma la sua famiglia gli ha dato tantissimo alla meraviglia di persona che è stato. Anche se ha avuto un padre così importante non ne è rimasto schiacciato e ha saputo riprodurre le regole basilari nel suo mondo e nella sua famiglia. Dai genitori ha preso: il senso della giustizia, l’onesta, la necessità della fratellanza universale, l’amore per la verità e una grande curiosità nei confronti della vita. Il suo basso profilo rappresenta il modo di porsi dell’alta aristocrazia, senza essere fanfaroni».

Quale la svolta fondamentale della sua vita, quella cioè che può dar senso ad un’intera esistenza?

«La sua vita ha avuto tante svolte. Si è ritrovato esiliato in Svizzera negli anni nevralgici dell’adolescenza e ha imparato l’importanza di stare in piedi sa solo. L’incontro con la futura moglie Simonetta, è inscindibile dalla sua storia. L’aver conosciuto la spiritualità di Chiara Lubich che gli ha cambiato la vita. L’ultima parte della sua vita è stata contraddistinta dall’accettazione del suo senso di inadeguatezza. Si è sempre sentito inadeguato nei ruoli che gli hanno affidato».

Oggi fa notizia una coppia che riesce a stare assieme per una vita intera. Piergiorgio e Simonetta ci sono riusciti. A che prezzo?

«Un prezzo, immagino, ci sia stato. Lui non era un superman, né la moglie una wonder women. Eppure questo prezzo non si vedeva, si vedeva la gioia di essersi reciprocamente scelti. Quando un campione raggiunge un traguardo, si gode la medaglia, non la fatica che ha fatto per raggiungerla. In loro era tangibile. Guardandoli veniva una profonda invidia per essersi trovati e accompagnati. Anche i loro figli e nipoti hanno sempre goduto di questa armonia».

Hai scritto un paio di libri su Chiara Luce Badano, e oggi ti cimenti con Piergiorgio. Differenze nella scrittura?

«La differenza sostanziale è che parliamo di personaggi simili qualitativamente, diversi quantitativamente. È come raccontare la finale di 100 metri piuttosto che una maratona. Piergiorgio ha vissuto 83 anni e Chiara Luce quasi 19. Da qui la scelta di accompagnare e contestualizzare una vita così lunga con gli avvenimenti della storia italiana, internazionale, e del movimento dei Focolari. L’approccio è stato identico. Uno che racconta una vicenda che non è la sua deve essere onesto, dando liberamente la possibilità di farsi un’idea sulla storia e la persona in questione. Mi legava un profondo affetto. I superlativi nella narrazione sono quasi plebiscitari da testimoni, parenti, colleghi, amici. La stima di cui godeva e il riconoscimento dei suoi talenti sono da tutti attestati».

Sono questi i “santi” della Chiesa di oggi?

«Non sono, in quanto agnostico, la persona più adatta a rispondere. Se per santità intendiamo il completare con pienezza il proprio destino, riempiendo in modo migliore lo spazio temporale che la vita ti dà, credo che Piergiorgio sia un modello di santità perfetto. È un modello riproducibile, per credenti e non credenti. C’è una similitudine con Chiara Luce, una continua tensione a dare grandezza e sacralità alle piccole cose, alla prosaicità del quotidiano e nello stesso tempo alle cose grandi, importanti che si vivono con una grande semplicità».

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