Piedigrotta, lo racconta il mare
Qual è, dopo i Bronzi di Riace del Museo Archeologico di Reggio, il secondo sito più visitato della Calabria? Non lo si direbbe, data la sua posizione appartata sulla Costa degli Dei, quasi un chilometro a nord di Pizzo Calabro: è una chiesetta rupestre intitolata alla Madonna di Piedigrotta, così a pochi metri dal mare che durante le mareggiate quasi vi arrivano gli spruzzi delle onde. L’entusiasmo dalla comunità pizzitana per questo luogo di culto s’accende specialmente il 2 luglio, solennità della Madonna delle Grazie, quando la popolazione si riversa sulla marina per festeggiare il ritorno dal santuario di Paola, dove è attualmente custodita, l’icona originale della chiesetta, trasportata poi sopra una imbarcazione col suo corteo di innumerevoli altre fino alla grotta per una messa solenne conclusa dai tradizionali fuochi d’artificio.
Cessate le celebrazioni, durante il resto dell’anno, quando al posto dei canti liturgici la grotta risuona degli acuti stridi dei gabbiani, del respiro del Tirreno se placido o del fragore delle ondate se in burrasca, quando un sentore salmastro sostituisce l’aroma degli incensi e i raggi del sole al tramonto vi accendono le diverse colorazioni della pietra, la sacralità di questo spazio si avverte forse ancora più intensa.
Proprietà privata oggi gestita dalla Società Cooperativa Kairos di Pizzo, questo umile santuario collegato alla sommità del costone mediante una rampa dalla quale si gode una visuale magnifica del Golfo di Santa Eufemia riesce sempre a sorprendere il visitatore, per quanto preparato. Le sue tre gallerie intercomunicanti, infatti, sono gremite di sculture che rappresentano episodi della vita di Gesù e di vari santi, frutto di un lavoro collettivo durato decenni: opere un po’ primitive, è vero, realizzate non in marmo ma nella stessa tenera arenaria della grotta, che però nell’insieme contribuiscono all’unicità di questo sito.
Quanto alle sue origini, un racconto popolare che sfuma nella leggenda, ma ha un nucleo storico, tramanda che intorno alla metà del 1600 un peschereccio napoletano venne sorpreso da un violento fortunale proprio nei pressi di questo lido. Riuniti nella cabina del capitano attorno ad una icona della Madonna di Piedigrotta, i marinai fecero voto, qualora fossero scampati alla morte, di erigere una edicola in suo onore là dove avrebbero toccato terra.
L’imbarcazione si schiantò sugli scogli, ma tutti riuscirono a raggiungere a nuoto sani e salvi la spiaggia, dove si arenò anche la tavola dipinta. (Non a caso le immagini sacre destinate ai natanti dovevano essere realizzate in legno affinché galleggiassero in caso di naufragio). Per mantenere la promessa fatta, l’equipaggio collocò l’icona in un anfratto della roccia. In seguito, per proteggere il dipinto dalle mareggiate che non di rado se lo portavano via per poi restituirlo nel medesimo sito, i pescatori locali scavarono lì una grotticella erigendovi un piccolo altare; sulla rustica facciata in pietra della chiesetta, inaugurata nel 1675, trovò posto anche la campana di bordo portata in salvo dai naufraghi, datata 1632.
Che i marinai miracolati fossero napoletani è suggerito dallo stesso titolo di Santa Maria di Piedigrotta dato all’edicola originaria: un toponimo non comune in Calabria, mentre è evidente il riferimento all’omonimo famoso santuario mariano della città partenopea che sorge “ai piedi della grotta” di Posillipo.
Verso il 1880 un artista locale, Angelo Barone, “adottò” quel luogo e per anni, a colpi di piccone, ingrandì la cavità, avendo cura di lasciare intatti alcuni blocchi di pietra dai quali in seguito ricavare le prime statue. Alla sua morte nel 1917 subentrò il figlio Alfonso, che per 40 anni proseguì l’opera del padre: si deve a lui l’attuale sistemazione, che comprende altri gruppi scultorei, bassorilievi con scene sacre e – sulla volta della navata centrale e dell’altare – affreschi di cui rimangono solo poche tracce (riconoscibile è la scena di un mare in tempesta dove appare un veliero in difficoltà).
Purtroppo agli inizi degli anni ’60 del secolo scorso la chiesetta fu violata da uno o due ragazzi e alcune sculture fatte oggetto di atti vandalici. A tale scempio decise di porre rimedio Giorgio Barone, un discendente di Angelo e Alfonso di ritorno dal Canada dove era emigrato e dove nel frattempo era diventato un rinomato scultore. Per diversi mesi lavorò senza sosta al restauro della cappella, che concluso nel 1969 ottenne il plauso e il riconoscimento dell’amministrazione. Suoi lavori sono anche i due medaglioni scolpiti raffiguranti papa Giovanni XXIII e John Kennedy.
Questa la storia di fede e tenacia di chi volle e preservò questo sito, mentre la ritmica cadenza della risacca – quasi il respiro della chiesetta – racconta la sua.
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