Piccolo fiore del deserto
Un piccolo fiore può sbocciare anche nel deserto. Ed è sbocciato, è proprio il caso di dirlo, nella Galilea del Nord. Una terra di mezzo, un territorio di confine, tra il Libano e la Siria, dove in poche centinaia di chilometri quadrati si trovano kibbutz, moshav, villaggi di arabi cristiani, musulmani, circassi, drusi. È lì che opera Angelica Edna Calò Livné, ebrea italiana, nata a Roma ed emigrata in Israele trent’anni fa. Che, dopo aver studiato teatro sociale e frequentato un master di educazione attraverso le arti, ha pensato bene di utilizzare il teatro per promuovere la pace. E ha fondato la compagnia teatrale Arcobaleno formata per metà da ragazzi ebrei e per metà da ragazzi arabi. Il loro ultimo successo è Anne in the sky, un’opera sulla storia di Anna Frank, una storia che ha accompagnato Edna per tutta la sua vita. Prima, c’è stato Bereshit, un’opera-mimo di mezz’ora (ci sono solo cinque frasi), che racconta come nascono i conflitti. E poi, l’ultimo progetto, in ordine di tempo: un programma radiofonico per avvicinare israeliani e palestinesi, condotto da ragazzi. Edna viene spesso in Italia: il suo lavoro di ponte è riconosciuto a tal punto che lo scorso anno è stata candidata al premio 1000 donne per la pace. In Italia ha discusso anche la sua tesi di dottorato su Pirandello. Un autore che meglio di tutti sembra spiegare la sua ricetta per la pace. Pirandello – racconta – è uno nessuno e centomila, che significa che ognuno ha la sua verità. Se si riuscisse a far capire che ognuno ha la sua verità e ogni verità è giusta, sarebbe un buon punto di partenza per trovare una verità comune. Dimentichiamoci un attimo tu della tua storia e io della mia storia, non per rinnegarla, ma perché altrimenti non finiamo mai di combatterci, visto che dobbiamo vivere insieme. Sullo sfondo, la difficile situazione di Israele. Dopo il disimpegno di Gaza, le tensioni nei Territori sono aumentati. Il sogno, per Edna, è quello di portare il teatro anche a Gaza. Un teatro che nasce per promuovere la pace e per dimostrare che si può convivere anche nonostante le differenze. L’idea dell’Arcobaleno – spiega Edna – è che l’iride ha tanti colori, uno diverso dall’altro. Eppure la sua bellezza è proprio che questi colori differenti vengano visti tutti insieme. Edna ha sempre pensato di utilizzare il teatro per educare. Ed è riuscita a mettere insieme ragazzi di etnie, culture, tradizioni completamente differenti. La prima volta – ricorda Edna – è stato al tempo in cui insegnavo in cinque scuole diverse e decisi di aprire una scuola di teatro. Molti ragazzi si segnarono, ma mi mancavano gli arabi. Nel kibbutz dove vivo io c’era un ragazzo palestinese che lavorava alle cucine. Mi vide appendere la locandina della scuola. Che stai facendo?, mi chiese. E io: Sto appendendo questa cosa. Perché non vieni da me in teatro? Dai, non ti preoccupare, tutti possono recitare. L’ho convinto. Oggi siamo per metà ebrei e per metà arabi. A vederli insieme, non pare esserci alcuna differenza di cultura, di religione. Ma conducono vite completamente diverse per lingua, tradizione, religione. Differenze ci sono persino tra gli ebrei. Noi siamo laici, ma ci sono anche i religiosi, c’è il kibbutz che è un modo di vita, poi il moshav che ha un altro stile. C’è il villaggio di Fassutah, dove vivono solo cristiani arabi, e vicino un altro villaggio dove sono tutti musulmani. E poi i circassi e i drusi. Feste diverse, tradizioni diverse, modi di vestire diversi, persino la musica. Angelica Livné mi porta un esempio: Sono stata invitata al matrimonio di uno dei nostri ragazzi arabi. Noi ebrei abbiamo una musicalità più occidentale, mentre gli arabi mantengono sonorità più orientali. Eppure, questi mondi così diversi tra loro si fondono, fino a formare un tutt’uno. Ci incontriamo una volta la settimana, per tre ore. La prima mezz’ora non posso cominciare se non si sono dati baci, abbracci e non si sono raccontati tutto quello che hanno fatto durante tutta la settimana. L’idea alla base del teatro di Edna è molto semplice: Ogni religione, ogni essere umano, ogni identità ha un suo mondo meraviglioso. Ora, non conoscendolo, si ha paura dell’estraneo, diffidi di lui e questo crea i conflitti. Dobbiamo in qualche modo, attraverso l’educazione, riuscire a fare incontrare e confrontare i ragazzi, così da passare poi da loro ai loro popoli. Molto spesso ci sono delle persone che non riescono a mostrare la parte più bella di sé e con il teatro cerco di far loro esprimere proprio questa parte. L’ultimo spettacolo è Bereshit, in principio, la prima parola della Bibbia. Angelica Livné spiega: All’inizio tutti sono vestiti allo stesso modo, con una maschera. Ma si scopre che, sotto l’abito, uno di loro veste una tuta arancione. In poco tempo gli arancioni si mettono a combattere coi viola. Piano piano, dopo morte, dolore e sofferenza, si vedono due ragazzi che si staccano dal gruppo. Cominciano a conoscersi, ma il gruppo volta loro le spalle. A un certo punto arriva un bambino – è Or, mio figlio più piccolo – tutto vestito di bianco, senza maschera, come per dire: Fatelo per noi bambini. E a un certo punto tutti si tolgono la maschera, qualcosa che solitamente non si fa nel teatro, è una convenzione. È una cosa che abbiamo scelto tutti insieme. I ragazzi mi dissero infatti: Noi vogliamo toglierci la maschera. E io dissi loro: Non si può, è una convenzione. E loro: Magari se rompiamo la convenzione succede qualcosa. E qualcosa in effetti è successo. Il nostro spettacolo ha un che di profetico. C’è un momento in cui gli arancioni fanno barriera, e poi arrivano i viola da dietro e fanno barriera anche loro. Ricorda un po’ il muro che abbiamo costruito in risposta al muro degli attentati. L’arancione quattro anni fa, quando abbiamo messo in scena lo spettacolo, non significava niente, e invece è diventato il colore del disimpegno di Gaza. Le reazioni del pubblico sono sorprendenti. Alla fine, molti restano senza parole, non sanno cosa dire. A un certo punto, i ragazzi si siedono sul palcoscenico e dialogano con il pubblico, e io faccio da traduttrice. Tutto quello che dicono è quello che sentono, e nessuno può giudicare niente, perché è uno spettacolo che sta da tutte e due le parti. Ma non c’è solo il teatro. Un altro momento di aggregazione tra palestinesi ed ebrei è la festa del pane. Nata in Israele, dalla collaborazione tra Samar, una cristiana che vive in Palestina, e Angelica, è poi stata replicata più volte in Italia, a Roma, Napoli,Milano. Samar aveva aperto un panificio nella zona palestinese. E mi diceva sempre: Vorrei un giorno fare il pane con le donne israeliane. Io abbassavo la testa… Ma un giorno le ho detto: Te le porto io le donne israeliane. Ne ho portate cinquanta, Samar aveva preparato tutto, c’era la banda di scout palestinesi che ci ha accolto… Poi ho deciso di scrivere un articolo sull’evento. Per ispirarmi apro la Torah, e cerco tutte le concordanze in cui è scritta la parola pane. E trovo una frase del Levitico: E voi mangerete e vi sazierete, la spada non passerà più per la vostra terra, e voi distribuirete il pane della pace. L’ho copiata e l’ho mandata a Shalom (un settimanale ebraico di Roma). Era febbraio, e questa cosa comincia a girare per Internet. La vede l’on. Yuni Tamir, la vede l’europarlamentare Mauro Mauro. Si muovono e a un certo punto danno l’ok per farlo in Italia. Mauro Mauro dà anche il patrocinio del Parlamento europeo. Per il giorno, scegliamo un mercoledì (il venerdì non andava bene per i musulmani, il sabato per gli ebrei, la domenica per i cristiani). È mercoledì 1° giugno il giorno in cui ha luogo la prima festa del pane in Italia. Si replica poi a Roma, a Milano, a Napoli. Ma Angelica una ne fa e una ne inventa. L’ultima iniziativa è quella di un programma radiofonico. L’idea nasce cinque mesi fa, quando Franco La Torre (direttore del Centro internazionale per la pace a Roma, nato su iniziativa del sindaco Veltroni) propone ad Angelica di creare un programma realizzato da giovani per i giovani sulla stazione radio All for peace, che trasmette in tutto Israele da Ramallah a Gerusalemme. Una prima puntata pilota, fatta però non a Gerusalemme (Sarebbe stato difficile per noi, che viviamo nell’alta Galilea, al confine con il Libano, portare i ragazzi a Gerusalemme ), ma Sasa, con l’aiuto di una emittente locale, Radio Galil Eliyon, ce l’ha fatta. E la trasmissione ha avuto un tale successo che la radio locale si è messa in contatto con All for peace per poter trasmettere la trasmissione. Si è così creato un ponte tra Nord e Sud del Paese.