Piccoli tifosi crescono

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Qui si impara a conoscere e ad amare lo sport, il calcio in particolare, e ci educa alla convivenza civile . Il progetto, sostenuto dagli Assessorati all’Istruzione ed allo Sport del Comune di Bergamo, è stato voluto dall’Atalanta, club che vanta gruppi di ultrà fra i più agitati d’Italia. A guidarlo è Lucia Castelli, psicopedagogista del settore giovanile del club bergamasco. Dietro a lei ed ai suoi collaboratori entrano allo stadio Azzurri d’Italia, ogni martedì di primavera, 100 alunni di quarta e quinta elementare e delle scuole medie della città. Sui loro volti l’emozione di poter vivere in presa diretta l’affascinante mondo del calcio professionistico, sedersi sulle gradinate del tifo nerazzurro o nelle postazioni giornalistiche, accedere agli spogliatoi dove si preparano i loro campioni, sbucare come loro dal tunnel e calcare il terreno erboso, perfino immaginarsi stratega della formazione seduti sulla panchina. Il tutto in compagnia di un giocatore della prima squadra. Attraverso la visita allo stadio – ci spiega la professoressa Castelli – i ragazzi vivono un intenso momento di formazione sportivo culturale. Hanno modo di comprendere cosa significhi rispetto delle regole e cosa sia l’etica dello sport. Vivono lo stadio come luogo di incontro e non di scontro. Parliamo loro dei tifosi, del tifo organizzato e dei rischi di degenerazione. Attraverso coinvolgenti questionari e letture di brani scelti di letteratura sportiva vengono a conoscere curiosità sulla storia del calcio e sul regolamento. Il tutto coronato da una lezione pratica sul campo da gioco con gli allenatori delle squadre giovanili. La mattinata scorre veloce con quello stadio così grande tutto da scoprire: alla fine i ragazzi si sentono a casa loro e la distanza con i divi del pallone è colmata. Uscendo, il calcio sembra loro un po’ più vicino, più umano: comprendono che occorre costanza e dedizione per essere sempre in forma, che si può vincere, ma anche perdere. Insomma che lo sport può essere scuola di vita. Lucia Castelli ne è convinta: Questo far sbirciare nel mondo del calcio vero da dietro le quinte ci permette di puntare a molteplici obiettivi. Anzitutto quello di educare alla convivenza civile nella fruizione di spettacoli sportivi, a diventare i tifosi corretti. Cerchiamo di evidenziare il valore educativo e culturale del calcio: questi incontri servono a combattere la sedentarietà ed a favorire una pratica sportiva continuativa. All’insegna del tifosi sì, meglio se sportivi attivi, la forma più seria di prevenzione del tifo violento. Là dove c’era l’erba… Ripulire i campi di gioco da ogni forma di violenza: con quali strumenti? Cambiare cultura. Non moviole e moviole, ma insegnare ad analizzare tecnicamente il calcio in tv. Carlo Ancelotti, dopo Inter-Milan, all’indomani dell’ennesimo disgustoso spettacolo di violenza da stadio, ha una ricetta tecnica. Noi giocatori dobbiamo comportarci bene in camporibatte Shevchenko. Chiuderemo gli stadi e faremo giocare a porte chiuse minaccia Pisanu, ministro degli Interni. Non abbiamo competenze di polizia: quando entrano 83 mila persone in un’ora il controllo è difficile. In Inghilterra i tifosi sono puniti più severamente gli fa eco il presidente dell’Inter Facchetti. In Italia paghiamo 10 mila agenti ogni domenica per la sicurezza degli stadi. Controlli minuziosi, punizioni esemplari, cancelli chiusi: rivendicare allo sport una valenza educativa per le giovani generazioni si fa sempre più difficile. Solo un incosciente porterebbe oggi i figli allo stadio. Pur cercando di uscire dalla trappola emotiva di certi episodi, occorre ammettere che sull’erba di San Siro, vergognosamente strapazzata da bengala, fumogeni, monetine, ombrelli e bottiglie, le responsabilità sono state rimpallate più del pallone. Le indiscrezioni sulla possibilità che la partita potesse essere interrotta dagli ultrà nerazzurri in caso di risultato negativo dell’Inter, filtrate un paio d’ore prima della partita, confermano una diffusa mentalità antisportiva, una volontà di violenza, un ingiustificato strapotere in mano ai tifosi. Esaltato dalla crescente politicizzazione degli oltre 60 mila tifosi organizzati nel nostro paese: svastiche e bandiere rosse con falce e martello campeggiano sulle gradinate. Pretesti, vecchi e nuovi, per giustificare l’obiettivo di sfogare ribellione e violenza e guadagnarsi la promozione di duri agli occhi del teppismo organizzato. Non vi è un paese in Europa in cui l’immagine del calcio sia associata ad un’idea così aberrante di violenza, di odio verso squadre, tesserati, tifosi di un altro colore, di diffamazione e scandalismo su chiunque. L’annacquamento della legge anti-violenza consente di negare l’accesso allo stadio ai violenti schedati solo nell’impianto della città dove si è comportato male o sancisce che i fumogeni si possono portare sulle gradinate purché non vengano lanciati. E non può far nulla contro la faziosità di certi giornalisti, sacerdoti di questo calcio avvelenato, o per chiudere certe trasmissioni dove settimanalmente si seminano odi, rancori e sospetti e si coltiva la violenza con la partecipazione di personaggi illustri, ministri compresi. E non può far nulla né contro presidenti che tollerano e giustificano sempre e comunque i tifosi, né contro la Federazione che non punisce quei calciatori che si comportano da teppisti in campo. Le leggi inglesi hanno estirpato la violenza dai campi con condanne esemplari, telecamere a circuito chiuso, abbattimento delle recinzioni, servizi d’ordine privati pagati dai club. Il fatto che tali misure abbiano solo allontanato dagli stadi gli scontri per trasferirli lontano dai poliziotti, nei vicoli dove gli ultrà si danno appuntamento per risse organizzate, con rispettabili professionisti italiani che volano in Inghilterra nei week-end solo per fare a botte con qualcuno, impone l’urgenza di coltivare una nuova cultura dello sport.

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