Piccoli e grandi film
Com’era Hollywood negli anni Venti e Trenta del ‘900? Qui non c’è il sogno personalissimo di Spielberg in The Fabelmans (vincitore del Golden Globe 2023), ma un sogno ancora più vasto, colossale: quello di una umanità folle che sulla collina di Hollywood dà vita ad una magia fascinosa e tremenda: il cinema.
In 188’ Babylon – questo è il film di Damien Chazelle (quello di La La Land) – provoca lo spettatore con una ricostruzione storica dal ritmo incalzante, dalle immagini sontuose, indagando storie di piccole e grandi ambizioni, di gente venuta dal nulla e diventata una star dalla vita folle. Ma pure anche di cadute in discesa libera, di decadenza morale, di sfrenatezza insieme a momenti di horror, dramma e infinita malinconia quando le luci della ribalta si spengono.
Vite tumultuose in una industria che crea e distrugge sono le componenti di un affresco epocale dove dal muto si passa al sonoro e al colore in un succedersi di cambiamenti sociali e codici morali quanto mai dinamico, nei quali nuove star dominano al posto delle vecchie condannate al tramonto dalla forza potente dei media. Allora come ora, in questo epos coloratissimo di una California dove non c’era nulla se non un sogno che faceva vivere e morire.
Se è vero che il film di Chazelle ripercorre con infiniti dettagli un mondo, ricco di colpi di scena, di acuti (le riprese di film storici, la lotta col serpente) e di bassezze (i gironi infernali della notte a Los Angeles), quel che resta è la nostalgia di un’epoca in cui, nonostante tutto, il cinema era un sogno di libertà e di infinita malinconia (la “stanchezza” dice l’attore declinante) quando il sogno si spegne e bisogna lasciare ad altri la scena. A meno che non si rimanga innamorati del sogno anche quando la vita cambia direzione, come succede al giovane messicano un tempo di casa ad Hollywood e poi prosaicamente venditore di elettrodomestici (Diego Calvas). Non tutti ce la fanno. Il film infatti racconta la storia estrema di Jack, attore star del muto e del sonoro (Brad Pitt) e di Nellie LaRoy, disinibita vittima del successo (Margot Robbie) che scelgono di scomparire drammaticamente.
Ma oggi il cinema è ancora passione pazza o industria soltanto, è Babylon o fabbrica di idoli che vanno e vengono? Ognuno dopo aver visto senza stancarsi il film può rispondere se sia possibile ancora sognare o sia un’illusione. Soprattutto per quelli che ancora ci credono, giovani e non.
Si può invece sognare in piccolo? Sì, e lo dice Giuseppe Battiston regista e interprete di una fiaba dolce e mesta, cioè Io vivo altrove.
Una vicenda di due adulti-giovani (uno vedovo, l’altro ancora con la madre a 48 anni) che vivono in una Roma che non sopportano più, fatta di lavori banali, rapporti freddi, desideri inappagati. C’è voglia di evasione, di freschezza, di vita. Di andarsene. Dove? I due amici, entrambi di nome Fausto, si decidono: andranno nel paese friulano dove uno ha ereditato la casa della nonna in mezzo alla natura. Sono idealisti, vivranno di quel che c’è. Sono felici, ma l’accoglienza è dura, ostile, altro che festosa. Le difficoltà economiche si fanno strada, bisogna vendere dei terreni… Insomma, gli uomini sono egoisti ovunque, basta sognare. Nella piccola comunità ci sono personaggi speciali: un prete tuttofare, una anziana arcigna, il matto del paese, una farmacista francese elegante… forse anche l’amore? Cose che danno speranza, anche quando questa sembra perduta.
Battiston e Rolando Ravello sono una coppia affiatata in un film che parte un po’ lento, poi trova la sua strada tra fiaba e ricordi dolorosi – forse un po’ autobiografici per Battiston – e si risolve in pacatezza, in quiete, in poesia anche, nella certezza che di un ideale, per quanto difficile, si può vivere e che finché si è capaci di sognare c’è ancora molto da scoprire.
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