Picasso romano
Il genio non finisce mai di stupire. E dire che non mancano lavori e mostre su di lui,come questa a Roma alle Scuderie del Quirinale, fino al 21 gennaio. Eppure, ogni volta, il genio multiforme che ha aperto tutto e divorato tutto, se ne esce con opere che stupiscono. Da una parte per l’eccellente abilità di disegnatore, che fa di lui un grande anche in questo campo, anzi un grandissimo. Dall’altra, il fatto che proprio questa perfezione nel tratto gli ha permesso di poter poi capovolgere tutto, distruggere e ricostruire le forme a sua immagine e somiglianza. Ne sono una prova le opere presenti nella mostra, che rimandano al suo viaggio in Italia nel 1917, e si collocano fino al 1925. E’ un Picasso che ha decostruito la figura umana ed ora la riprende, sull’onda della classicità riscoperta, del sole e della vita, alternando attimi melanconici ad altri scatenati.
La rassegna è bella, ricca,in particolare di disegni, scritti, foto,bozzetti. A proposito di disegni, ne basterebbe uno solo a dire la singolarità dell’artista. Mi riferisco alla Femme drapée, cioè alla moglie Olga, atteggiata ad attrice, del 1922. Una figura astrale, disegnata da una linea aguzza e morbida, a dire un carattere (non un’anima, perchè essa sfugge qui a Picasso,come ne avesse paura), come quella dei danzatori e danzatrici che affronta. Non per nulla in mostra ci sono i suoi ritratti di Stravinsky e Diaghilev: ha composto il sipario fantasioso del balletto Parade, ora tra i barocchi Bernini e Pietro da Cortona in Palazzo Barberini: dialogo tra grandi oltre il tempo.
Pablo è aperto a tutto. Al fluire della vita tra riso selvaggità e malinconia. Si capisce la sua insistenza sulle maschere di Pierrot e Arlecchino. Arlecchino bambino smarrito e ingenuo come il figlio Paul (che si veste anche in un candido Pierrot), Arlecchino narciso allo specchio (1923) e il Saltimbanco seduto con le braccia conserte, proveniente da Tokio: un capolavoro di riflessione e abbandono. Picasso pare voler cogliere il pensiero che fugge dal volto assorto del giovane vestito di rosso e bianco sulla poltrona viola, pallido di un pallore sognante. Un romanticismo post-romantico, visto con gli occhi di un uomo del Novecento che conosce la guerra mondiale. Ma Picasso ha voglia di scatenarsi,abbacinato dal senso mediterraneo della classicità. Ed ecco Le due donne in corsa sulla spiaggia, vere Baccanti del XX secolo, corpi tozzi e grandi tra il blu del cielo e del mare,piene di sole come i disegni di nudi femminili e la Grande Bagnante del 1921, monumentale come un gigante dell’arte dorica.
A Pablo non basta, quest’Italia lo seduce. Lo riporta ad antiche risonanze visive nella Natura morta davanti ad una finestra (1919): astrazione, concretezza, cielo solcato da folate di nubi, una chitarra, la musica,il vento. Pablo è porta del momento, dell’incantamento dei sensi prima che dell’anima. M è incantamento autentico, brezza di una anima che qui si fa leggera, priva di pesantezze.
Forse Picasso nel soggiorno italiano ritrova qualcosa che da sempre nasconde nell’intimo della sua arte,cioè il soffio delicato della sua anima. E fra le molte cose esposte, questa e poche altre, dicono veramente – per un baleno- chi egli veramente sia.