Piano Mattei alla prova nell’Africa che cambia

È di grande importanza il rapporto strategico dell’Italia e dell’Europa con un continente africano attraversato da notevoli cambiamenti. Nell’intervista a Mario Giro, esperto di cooperazione internazionale e già viceministro degli Esteri, un’apertura di credito verso il progetto promosso dal governo Meloni, nonostante le critiche del mondo missionario
ItaliAfrica summit presso il Senato della Repubblica Gennaio 2024. ANSA/FABIO CIMAGLIA

Il piano Mattei promosso dal governo Meloni ha l’ambizione di promuovere una strategia di lungo termine con il continente africano nell’ottica dichiarata di stabilire rapporti di cooperazione paritari secondo l’esempio di Enrico Mattei, personaggio chiave del secondo dopoguerra, partigiano antifascista della brigate Verdi (cattoliche) e poi fondatore dell’Agip, futura Eni, la grande società energetica che si scontrò con le grandi multinazionali angloamericane per l’approccio non predatorio con i Paesi in via di sviluppo.

Mario Giro ha curato il  libro, edito da Guerini e associati, “Piano Mattei. Come l’Italia torna in Africa” che ospita diversi contributi sulla strategia del governo in carica a Roma.

Cerchiamo, perciò, di capire il suo punto di vista che proviene da uno dei maggiori esperti italiani nel campo della cooperazione con l’Africa, attualmente editorialista del quotidiano Il Domani, che ha già ricoperto il compito di sottosegretario e poi viceministro degli Esteri con i governi Letta, Gentiloni e Renzi.

Ha senso parlare di un piano Mattei da parte di un governo di destra che usa il nome di un esponente storico della sinistra dc, accusato a suo tempo di statalismo da parte di Sturzo? In che modo si concilia quel riferimento alla politica di Mattei verso i Paesi in via di sviluppo, che andava contro gli interessi angloamericani?
Il nome di Enrico Mattei è stato scelto perché rappresenta un simbolo per l’Africa e gli africani. Mattei significa: “facciamo parti eguali, anzi a voi di più”, come in effetti fece Mattei con i Paesi nuovamente indipendenti, la Tunisia e l’Algeria, a proposito delle royalties sul petrolio. Le cosiddette 7 sorelle del petrolio si portavano via quasi tutto; l’ENI (l’Agip all’epoca) lasciava il 70% ai paesi produttori. In Algeria Mattei è considerato un eroe nazionale. Il nostro abbaglio da europei è che partiamo sempre e solo da noi stessi: giudicare – ad esempio – il piano Mattei a partire dall’Italia. Se provassimo una volta tanto a partire dagli altri, comprenderemmo meglio di cosa si tratta. Mattei non è stato scelto per noi ma per gli africani: è un messaggio di partnership paritaria. Il fatto poi che si tratti di un capo della resistenza bianca non può che far piacere a chi crede nella democrazia.

Il riferimento a Mattei non mette in evidenza il fatto che la politica estera italiana è decisa dall’Eni di Descalzi e da Leonardo, che si è attrezzata con la Fondazione Med-Or…
L’Eni è la prima ad essere imbarazzata dell’uso del termine “Mattei”: come suo stile, non desidera ricevere tutte queste attenzioni che le vengono prestate. D’altronde il fatto che l’Eni abbia riconvertito l’acquisto di gas per l’Italia al posto di quello russo (Qatar, Mozambico, Algeria ecc.) era un fatto già avvenuto con il governo Draghi e non serviva per questo il Piano Mattei. L’ENI non ha bisogno di niente per fare il suo lavoro. Per quanto riguarda il Piano Mattei basta guardare i progetti infrastrutturali che iniziano ad essere finanziati per rendersi conto che siamo ben al di là dell’Eni. Una lista parziale può aiutare: Algeria recupero terreni semi-aridi per l’agricoltura 420 milioni; Costa d’Avorio sostegno all’istruzione primaria 15 milioni, sostegno al settore sanitario 19 milioni (+ 30 milioni di credito di aiuto); Etiopia green economy 13 milioni (+12 di credito di aiuto); Kenya biocarburanti avanzati 75 milioni(fondo clima), food security 15 milioni; Mozambico polo alimentare 3 milioni; Tunisia sicurezza alimentare circa 34 milioni; corridoio di Lobito (Angola/RDC/Zambia) la partecipazione italiana potrà giungere fino a 320 milioni; iniziative educative multipaese Africa 46 milioni. Poi ci sono le piattaforme di investimento con cui l’Italia partecipa con la Banca africana di sviluppo e altre istituzioni finanziarie multilaterali. Per quanto riguarda Leonardo non ha bisogno certo del Piano Mattei: fa già le sue operazioni da molto tempo coi Paesi africani. Forse ci potrà essere un suo coinvolgimento nel settore spazio.

Molte voci del mondo missionario sono critiche verso il piano Mattei accusato di neocolonialismo. Cosa ne pensa?
Il Piano Mattei vuole essere un tentativo esattamente in senso opposto: uscire dal paternalismo e dal neocolonialismo tipico europeo per incamminarsi per un’altra strada. Le critiche dei missionari fanno bene e sono state rivolte a tutti i governi italiani, dalla DC ad oggi: sono un pungolo sempre attento e una sfida per tutti. Il libro che ho curato va nella stessa direzione: sono proposte, sia dal settore privato che dalle Ong, per favorire una presenza italiana in Africa che duri e sia giusta. Addirittura ho voluto una voce francese per prendere esempio dall’Italia e una riflessione sulla possibile triangolazione Italia-Africa America Latina. Il mondo cambia e dobbiamo avere delle idee innovative.

Un’altra critica riguarda la scarsità di risorse previste dal Piano che rischia di restare solo retorica …
Sulla scarsità di risorse non si tratta di una novità: tutti i governi italiani ne hanno messe sempre troppo poche, senza puntare davvero allo 0.70% a cui si erano peraltro impegnati. Nella seconda repubblica gli unici governi ad aumentarle sono stati quello di Monti (il ministro Andrea Riccardi ebbe 100 milioni in più, invertendo un calo pluriennale) e quelli di Matteo Renzi (che fece anche la riforma della legge). Subito dopo si è tornati a scendere. Il famoso Fondo Africa fu purtroppo dedicato soprattutto al contenimento delle migrazioni. Sui soldi ripeto: ma davvero crediamo che gli africani non ci conoscano bene e non sappiano che l’Italia – da sempre – ha pochi soldi? Lo sanno perfettamente: ci conoscono meglio di quanto noi conosciamo loro. Ma loro puntano ad una relazione di rispetto reciproco. Su questo si basa la scommessa del Piano Mattei: coinvolgere gli africani, come ha chiesto il presidente della Commissione africana Moussa Faki al vertice di Roma di gennaio scorso. Da quel momento squadre di diplomatici ed esperti del Piano girano l’Africa come trottole, discutendo con i partner. Nel libro ho voluto due voci africane che ci dicessero cosa dobbiamo attenderci dall’Africa: soprattutto qual è questa Africa nuova che abbiamo dinanzi a noi. Prima di fasciarci la testa vediamo se funziona.

Quali sono a suo parere gli aspetti interessanti del cosiddetto piano Mattei?
La relazione paritaria; il coinvolgimento africano nei progetti (che speriamo a un certo punto riguardi anche la società civile africana); la connessione pubblico-privato; quella Pmi-Ong/Osc; la partecipazione delle banche multilaterali; la creazione di nuovi strumenti di finanziamento per garantire la sostenibilità dei progetti. Tutto deve essere costruito per garantire continuità. Sappiamo bene che noi italiani abbiamo buone idee ma pecchiamo di continuità. Inoltre il Piano Mattei giunge ad un momento cruciale nel quale le relazioni Africa-Europa sono al punto più basso: quindi serve a tutti, paradossalmente anche alla Francia. Per questo nel libro c’è un capitolo sulla relazione Africa-Francia-Italia.

Come si pone il piano governativo nei confronti delle crescente presenza cinese e russa in Africa e Medio Oriente?
Si pone come un’alternativa soprattutto nel settore agribusiness, Pmi e infrastrutture medie: è essenziale raggiungere le città medie e piccole e l’interno dell’Africa che è immensa. Infatti i grandi corridoi servono soprattutto al commercio (e alle strategie militare) delle grandi potenze globali e non tanto agli africani. Tra l’altro la democrazia liberale oggi è in crisi: c’è bisogno di una presenza europea che prosegua e mantenga il contatto. L’Italia può ben rappresentarla, in attesa di tempi migliori. La cosa più importante di tutte è capire che l’Africa è cambiata moltissimo: su questo concentro la mia attenzione nella prima parte del libro.

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