Piano Mattei al via, alcune osservazioni
Con la trasformazione in legge del DDL S. 936 nasceranno gli organismi del Piano Mattei: è positivo che il governo italiano riproponga la collaborazione con i Paesi africani come la aveva portata avanti nel secolo scorso Enrico Mattei, imprenditore nella chimica, amico di Giorgio La Pira e membro “bianco” del Comitato di Liberazione Nazionale durante la Resistenza, che alla fine della guerra invece di darsi alla politica aveva scelto di dedicarsi alla industrializzazione dell’Italia.
Nominato commissario liquidatore dell’AGIP e trovato il gas naturale in Valle Padana, invece di liquidare l’AGIP la aveva resa struttura portante dell’ENI, con cui avrebbe favorito la industrializzazione diffusa dell’Italia portando ovunque il metano con gasdotti, creando centri di ricerca e società di progettazione e produzione di attrezzature per l’industria petrolifera e petrolchimica.
Soprattutto aveva innovato i rapporti con i Paesi produttori negoziando contratti per lo sviluppo congiunto dei pozzi, assegnando ad essi il 75% del petrolio estratto e costruendo assieme ai loro governi le raffinerie per produrre il gas liquido, la benzina ed il gasolio che fino ad allora dovevano importare a prezzi esorbitanti: questo anche nell’Africa subsahariana, dove i tecnici Eni ideavano impianti adatti proprio a produrre quanto richiesto dai consumi locali: non c’è quindi da stupirsi se ancora oggi in questi paesi l’Italia, la sua industria ed i suoi tecnici, sono considerati amici.
Ad oltre mezzo secolo da allora, mentre l’Europa deve diversificare le sue fonti di energia e passare a quelle rinnovabili, la prorompente umanità africana avrebbe più che mai bisogno di una collaborazione per realizzare uno sviluppo sostenibile: un Piano Mattei sarebbe quindi più che mai necessario.
Il DDL S. 936 istituisce una Cabina di Regia, presieduta dal presidente del Consiglio e gestita dal ministro degli Esteri con i viceministri per la Cooperazione Internazionale e quello del ministero delle Imprese e del Made in Italy.
Nella Cabina sono rappresentati tutti i Ministeri, la Conferenza delle Regioni, la Cassa Depositi e Prestiti, l’ICE, la SACE e Simest e vi saranno cooptati esponenti delle grandi aziende pubbliche, delle università, degli enti di ricerca, di enti pubblici e privati, esperti delle materie trattate ed esponenti della società civile e del terzo settore: tutti presenti in un pentolone col compito di indirizzo, controllo e monitoraggio del progetto, che dovrà approvare una relazione annuale sul progresso del piano.
Relazione predisposta dalla Struttura di Missione, l’organismo operativo presso la Presidenza del Consiglio per tutta la durata del governo, con un budget annuale di 2,3 milioni di euro: due dirigenti generali di cui il Coordinatore di provenienza diplomatica, altri due dirigenti e quindici collaboratori.
La Struttura di Missione esaminerà e promuoverà le attività con i Paesi africani in diciannove settori: cooperazione allo sviluppo, promozione delle esportazioni e degli investimenti, istruzione, formazione superiore e professionale, ricerca e innovazione, salute, agricoltura e sicurezza alimentare, sfruttamento sostenibile di risorse naturali, idriche ed energetiche, tutela dell’ambiente e adattamento ai cambiamenti climatici, potenziamento di infrastrutture anche digitali, sviluppo del partenariato energetico, sostegno all’imprenditoria anche femminile, promozione dell’occupazione, turismo, cultura, contrasto della immigrazione irregolare e gestione dei flussi migratori.
Quindi i diciannove dirigenti, funzionari, tecnici, segretari e fattorini, dovranno seguire diciannove settori di interesse per ciascuna delle 54 nazioni africane, attenti alle istanze della politica italiana e degli enti e i personaggi della Cabina di Regia, a cui dovranno rendere conto: tutto questo senza disporre neppure di un euro da investire nei progetti: la dotazione finanziaria della Struttura sarà sufficiente solo a retribuire il suo personale.
Una “Mission Impossible”, si direbbe, anche se il DDL prevede la collaborazione di grandi aziende pubbliche a cui sarà presumibilmente chiesto di trovare i finanziamenti e fornire anche consulenti ed esperti, che sono previsti, ma stranamente disponibili a titolo gratuito: per essi è previsto spendere solo 500,000 euro all’anno per il rimborso delle loro spese di missione.
Dato che i consulenti validi operano tutt’altro che gratuitamente, dovranno essere retribuiti dalle aziende realizzatrici e dalle loro controparti locali, di cui privilegeranno le esigenze, a scapito di quelle economiche e sociali del Piano Mattei: non è previsto alcun servizio né progettuale, né tecnico, né amministrativo per tenere dritta la barra sugli obiettivi per cui esso nasce.
Quanto sopra porta a pensare che la Struttura di Missione si limiterà a far da tramite con i governi locali di grandi aziende che già dispongono di studi di progettazione e filiali locali, per incrementare la produzione in Africa ed il trasporto attraverso il mediterraneo in Europa, di energia elettrica e di gas naturale.
Se si volesse invece davvero affrontare anche solo una parte delle sfide africane dei settori elencati nel DDL, il governo italiano dovrebbe dotarsi di una struttura indipendente, simile a quella che oggi ha costruito la Comunità Europea, ed a ciascuno dei suoi membri far realizzare gli obiettivi del PNRR: sarebbe logico per prima cosa incaricare gli addetti economici delle ambasciate italiane dei 54 paesi africani, affinché coinvolgano esponenti della società civile e delle organizzazioni non governative locali ed internazionali in loco a formulare assieme, nei settori di interesse del DDL, progetti da suggerire al governo locale ed a quello italiano.
Non è detto poi che le aziende interessate alle realizzazioni non debbano cooperare: potrebbero farlo tramite una struttura comune di servizio, come quella nata a Genova negli anni ottanta, a venti dalla morte di Mattei, per promuovere aziende italiane nella realizzazione di progetti in Paesi in via di sviluppo: allora le grandi aziende dell’energia e meccaniche del triangolo industriale del Nord Ovest si erano messe assieme come azioniste della SPES, “Servizio di Progettazione economica per lo Sviluppo”: questa azienda di progettazione strategica, era stata concepita come un “investimento in rapporti”, i cui utili sarebbero stati destinati, per statuto, a nuovi studi per lo sviluppo: la SPES ha operato per dieci anni con studi e progetti in Italia e negli stati africani.