Pianisti in concerto

Krystian Zimerman e Radu Lupu. Roma, Accademia Nazionale Santa Cecilia. ¦ L’Accademia ceciliana continua a presentare grandi talenti. I quali hanno, oltretutto, il merito di inchiodare il pubblico, e di ottenere un ascolto lungo e profondo, da aura sacra. Zimerman, fra l’altro, ha interpretato la celebre, ardua, Sonata op. 111 in do minore di Beethoven. Difficile liberarsi dalla sensazione di un immenso tumulto interiore in questo dittico – Maestoso, Allegro con brio e Arietta con variazioni – che nella prima parte, si alza come una montagna di basalto (Rolland) scoscesa e lucida, articolata in riprese vorticose e contrattempi di sapore jazzistico. Un Beethoven ciclopico, dolorosamente teso a bucare l’infinito, cominciando dalla sua anima martoriata e da una fantasia vertiginosa, continuamente limata per arrivare a toccare dimensioni non più terrene, non più del suo secolo. Nel secondo tempo una melodia lineare, si direbbe spirituale che, dopo i forti sbalzi chiaroscurali nelle variazioni, si chiude in una aura estatica, di luce perfetta e calma. Una lotta tra morte e vita, tra lutto e resurrezione, grandiosa e diretta, com’è sempre in Beethoven. Zimerman, musicista fine, dal tocco netto, pulito, e dal fraseggio denso, accompagna l’ascoltatore nel percorso del musicista. Lo fa entrare nel suo mondo drammatico, ma non lo esaspera mai, cedendo alla tentazione dell’effetto. Zimerman è un aristocratico del pianoforte, sempre padrone di sé, con una emotività bella, mai gelida. Appassionata, ma con fare signorile. Diverso è certo Radu Lupu, maestro delle sfumature psicologiche di Schubert, di cui esegue la lunga Sonata in re magg. op. 53. Schubert è certo un autore di cui possiede l’anima. Fa una certa impressione, a livello di visibilità, il contrasto tra quest’uomo barbuto, come un monaco ortodosso rumeno, e le delicatezze sfumate schubertiane che esegue. La Sonata è lunga e ricca: il compositore passa da momenti di densità quasi brahmsiana a melodie impalpabli e a ritmi danzanti. Insomma, la vita di un giovane idealista, lieve e sensibile. Se Beethoven attira e sconvolge, Schubert seduce con la sua grazia. Quando Lupu esegue poi il Primo libro dei Preludi di Debussy, evanescenti e simbolici, la sua mano è sempre tecnicamente perfetta; ma si avverte che l’anima vera, del pianista, pende di più verso Schubert. I due sono ormai, dopo tanti anni, quasi una cosa sola. IL PIANOFORTE DI SCHUBERT Radu Lupu plays Schubert, Decca 2005. The Piano Sonatas, Wilhem Kempff, DGG 2000

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons