Inquinamento Pfas. Tra emergenza e attese
Prosegue, per quanto non si intravveda ancora una soluzione certa, il percorso volto ad affrontare il problema dell’inquinamento da Pfas – le sostanze perfluoroalchiliche utilizzate nell’industria chimica (in questo caso dalla Miteni), e riconosciute come interferenti endocrini correlati a numerose patologie – in una vasta area del Veneto compresa tra il vicentino, il veneziano e il padovano, contaminando una falda che fornisce l’acqua a 250 mila persone. Un passo importante è stato, a metà novembre, la presentazione del monitoraggio sugli alimenti realizzato dall’Istituto Superiore di Sanità: secondo tali dati, i livelli di Pfas rilevati negli ortaggi e nella carne di bovini e suini sono stati al di sotto della soglia considerata critica; ad eccezione del fegato suino, delle uova di produzione casalinga di e diverse specie di pesci, tanto che è scattato il divieto di consumo dei prodotti ittici proveniente dai 21 Comuni della “zona rossa”. Valori comunque, ha sottolineato l’ISS, di dieci volte inferiori rispetto a quelli del 2014, il che può considerarsi un successo.
Dati che possono confortare, ma non tranquillizzare la popolazione; che ha trovato un punto di riferimento nel gruppo “Mamme no Pfas”, che da anni porta avanti questa battaglia, e che lo scorso ottobre ha organizzato una marcia a cui hanno preso parte oltre 10 mila persone per chiedere acqua pulita. «Guardiamo sia alle necessità immediate – spiega Anna Maria Panarotto, una dei membri del gruppo – che sul lungo termine: ossia da un lato affrontare subito il problema dei valori alti di interferenti endocrini riscontrati soprattutto nei giovani, garantendo acqua non contaminata grazie a soluzioni come il trasporto con autobotti o filtri all’acquedotto; e dall’altro puntando alla costruzione di un acquedotto nuovo, che trasporti l’acqua dalla zona del Brenta sino a qui, dato che le analisi hanno dimostrato che ci vorranno un centinaio d’anni prima che questa falda, una delle più grandi d’Europa, possa considerarsi depurata in virtù del ricambio idrico. La manifestazione ha avuto successo, e ci fa piacere vedere come anche la politica abbia riconosciuto il nostro ruolo».
Ed è appunto sul fronte politico che si giocano partite fondamentali. «Abbiamo ricevuto risposta positiva dalla Regione per quanto riguarda l’installazione di filtri a carbone nella centrale di potabilizzazione – prosegue Panarotto –. Sono efficaci nell’abbattere i livelli di Pfas, ma non possono costituire una soluzione perché hanno costi altissimi e necessitano di essere cambiati spesso: il che si traduce in un aggravio della spesa pubblica finanziata anche dai cittadini stessi. La cosa, oltretutto, ha creato sfiducia nella popolazione: se bastavano i filtri per risolvere quantomeno l’emergenza, perché non sono stati installati prima?». L’acquedotto, d’altra parte, si scontra con diversi ostacoli: «Stiamo parlando di zone fortemente urbanizzate, dove non è pensabile costruire una simile opera in tempi rapidi: si parla di almeno cinque anni, ma tenendo conto anche dei tempi della burocrazia sono in molti a ritenerla una stima sin troppo ottimistica». Per non parlare dei finanziamenti: la cifra che la Regione Veneto attende da Roma per la realizzazione dell’opera è di 80 milioni di euro, ma – ha denunciato la deputata veneta Alessia Rotta – non sono ancora stati sbloccati a fronte della mancanza di un progetto sufficientemente preciso. Denuncia rispedita al mittente dall’assessore regionale all’Ambiente, Gianpaolo Bottacin, che lamenta piuttosto il fatto che questi 80 milioni nessuno li abbia in realtà mai visti e che il governo metta i bastoni fra le ruote, aggiungendo vincoli burocratici e negando la gestione commissariale. La Miteni del resto – sulle cui responsabilità le indagini sono ancora in corso – non è tenuta a pagare un solo centesimo in assenza di una condanna: su quel fronte, quindi, almeno per ora non si può contare.
Intanto la popolazione attende: «La Miteni afferma di non fare più sversamenti – conclude Panarotto – e così si è messa al riparo da un’imposizione di chiusura. Però rimane il problema di un’azienda chimica collocata a monte di una grossa falda, ossia in una posizione in cui non doveva essere. Intanto stiamo collaborando con Greenpeace, Legambiente e altri comitati, pur rimanendo per scelta un gruppo informale: vogliamo semplicemente rappresentare la popolazione».