Petrenko e Chen
Due giovani, il primo già asceso e l’altro avviato alla conquista del mondo. Insieme all’Accademia nazionale Santa Cecilia a Roma per la poco eseguita – e in genere poco nota – Symphonie espagnole per violino e orchestra di Eduard Lalo, musicista di indubbio valore, anche se oggi trascurato. Cinque tempi per una sorta di “sinfonia concertante” dalla vitalità esuberante di suggestioni iberiche, ritmi arabeggianti, colori forti e una ardente o meglio sofisticata sensualità molto “decadente”.
Il violino è Ray Chen, nato a Taiwan, cresciuto in Australia, studi negli Usa e oggi visto come una specie di Lang Lang dell’archetto. Minuto, già un po’ divo, taglio di capelli moderno, il ragazzo ha lo sguardo fiero e sicuro di sé. E al violino certo è bravissimo. Tecnicamente agguerrito: arpeggi, rimbalzi, tremoli, trilli, insomma tutto il repertorio virtuosistico è diteggiato e vibrato in modo perfetto. Per la musica di Lalo, decorativa, fiammeggiante come un affresco esotico, va bene. Del resto la direzione del biondo russo, altissimo quanto il cinese è piccolo e scuro, classe 1976, è soffice, complice. E Chen può concedersi il bis con Capriccio n. 21 di Paganini per la gioia del pubblico.
Ma è sufficiente la magia tecnica a sbalordire e conquistare il mondo? Forse dovremmo sentire Chen alle prese con Bach, Beethoven ed amici per vedere se oltre alla tecnica ci sia anche un’anima. Non vorremmo un nuovo Lang Lang, pianista- spettacolo.
Quanto a Vasily Petrenko è scattante, ma pure misurato, esperto, e la Sinfonia in quattro parti Manfred da Byron – affresco mirabilmente turgido di colori, amori, pessimismo, morte e apoteosi, divinamente orchestrato – è un bella prova di cosa significhi avere un direttore giovane e capace di sonorità rapide, sgargianti, tenere, ottenute da un’orchestra duttile come quella ceciliana. Ci si trasmette un Ciajkovskij dal gran cuore tormentato e innamorato. Da non perdere. Repliche lunedì 23 e martedì 24.