Perù, lo spettro della destituzione sul presidente
Perù. Continua ad oscillare pericolosamente la struttura istituzionale peruviana, sulla quale si proietta lo spettro della destituzione del presidente Pedro Castillo.
Ormai il gioco è chiaro: il Parlamento – monocamerale, 130 deputati – ha scoperto che grazie ad una interpretazione costituzionale, che definire ampia è un eufemismo, è possibile disfarsi facilmente di un presidente che non risponde ai propri progetti politici.
Come è possibile? Gli ultimi presidenti hanno ottenuto il mandato al secondo turno soprattutto in chiave di opposizione alle aspirazioni presidenziali di Keiko Fujimori, figlia di Alberto, l’ex presidente condannato per violazione dei diritti umani, e come lui poco convinta dei valori autenticamente democratici.
La dispersione di voti al primo turno, ha fatto sì che gli ultimi presidenti non potessero contare su una consistente maggioranza parlamentare. Tale vulnerabilità non ha potuto evitare la destituzione, o ha condotto alle dimissioni.
Indipendentemente dalle accuse, abbastanza pesanti nel caso di Pedro Pablo Kuczynsky, si tratta di una applicazione della norma costituzione che appare inaccettabile. Questa prevede il caso di “incapacità morale”, una figura poco chiara che i giudici costituzionali hanno tollerato con molta leggerezza, per cui è stata utilizzata anche in caso di generiche accuse di corruzione, senza che la cosa fosse provata, senza molte garanzie per l’accusato e senza nemmeno l’avvio di un processo come precondizione.
Basta che un terzo dei legislatori presenti la mozione, che deve essere ammessa a maggioranza, dopodiché il processo continua con la presentazione delle accuse e della difesa del presidente. Per ottenere la destituzione, occorrono 87 voti, due terzi dei membri.
Kuczynski sfuggì per il rotto della cuffia alla prima accusa, ma ingannando persino i propri alleati. Quando la mozione venne poco dopo presentata di nuovo, ed era prevedibile che sarebbe passata, preferì dimettersi. I fatti furono successivamente provati, ed anche ammessi, ma la giustizia non si era ancora pronunciata. Nel caso del suo successore, Martín Vizcarra, la destituzione venne messa in moto a partire da insinuazioni provenienti dalla Procura, che non erano state neppure accolte dagli inquirenti. Alcuni testimoni avevano indicato casi di corruzione quando Vizcarra era governatore regionale. Una prima mozione fallì, ma la seconda ottenne i voti necessari. Anche qui, non si è in presenza di alcuna sentenza.
A dicembre, il presidente Castillo ha potuto schivare una prima mozione. Ora nuovamente pare che dovrà difendersi in parlamento. Ed anche in questo caso, i capi di imputazione partono da insinuazioni della Procura basate su dichiarazioni di una testimone, che assicura che il presidente avrebbe messo in piedi una rete di corruzione che favorirebbe familiari ed alleati.
A promuovere l’iniziativa, un settore della destra pro-Fujimori che non ha mai potuto digerire la vittoria di Castillo alle ultime elezioni.
Non che la popolarità del presidente sia notevole, tutt’altro. Gli ultimi sondaggi assegnano circa il 60% di opinioni contrarie alla sua gestione. Con una certa dose di ingenuità, l’ex rappresentante del sindacato dei docenti giustifica i propri errori e le confusioni parlando di un “apprendistato” nell’esercizio della presidenza. Prova ne sarebbe anche la frequenza con la quale ha cambiato primo ministro, ben quattro volte in otto mesi. Al suo attivo sono poche le decisioni degne di nota, anche se di peso: la campagna di vaccinazione contro il Covid, col 74% della popolazione coperta dal vaccino e buone scelte nell’area del gabinetto economico.
Resta il problema profondo della frammentazione del Parlamento, popolato da sigle nate ad hoc per rappresentare le aspirazioni di leader effimeri. E resta il problema della questione morale, ancora tutta da affrontare (la pessima interpretazione della norma costituzionale non è un caso isolato), che abbraccia politica, giustizia ed imprenditoria. Ne consegue una debolezza istituzionale che non riesce a dare le ali a questa democrazia.