Il peronismo festeggia, i mercati tremano
Le elezioni primarie e il "no" detto al presidente Macri gettano le borse nel caos. Nel Paese non c'è un progetto politico-economico chiaro
Spiegare l’Argentina non è facile. Bisogna, tra le tante cose, spiegare che le elezioni primarie, dotate di voto obbligatorio, in realtà non servono a definire i candidati di ogni partito, perché questi arrivano con le loro proposte già definite, ma semmai servono per stabilire quali gruppi politici superano la barriera dell’1,5% per competere nella gara elettorale. Per questo le primarie di domenica scorsa sono state in realtà il più fedele sondaggio di opinione di voto possibile e queste hanno sancito la cocente sconfitta del presidente in esercizio, Maurizio Macri, e della sua proposta politica. L’ex presidente dei Boca Junior ha raccolto uno striminzito 32%, mentre il peronismo kirchnerista lo ha distanziato di 15 punti superando abbondantemente il 47% dei voti. Più indietro, l’ex ministro dell’economia Roberto Lavagna, che ha raccolto un altro settore del peronismo, ottenendo l’8% dei suffragi.
Lo stato di shock nel quale è caduto Macri è messo in luce dalla sua risposta il giorno seguente quando, in sostanza, ha detto che la gente ha sbagliato a votare… La stessa risposta di quattro anni fa, quando Cristina Kirchner perse le ultime elezioni. La reazione dei mercati è stata eloquente: caduta della borsa di Buenos Aires (solo in parte recuperata nelle sedute successive) e, pessima notizia, incremento del dollaro che schizza da 49 a 60 pesos, un 25% in più.
Conoscendo non solo la visione eterodossa dell’equipe economica kirchnerista, ma anche gli effetti della gestione passata, sarebbe stato da ingenui pensare che i mercati non avrebbero bocciato il risultato elettorale che annuncia, con tutta probabilità, la vittoria di Alberto Fernández, candidato alla presidenza, in compagnia di Cristina Kirchner quale vicepresidente.
E la ragione è che coloro che influiscono sui mercati non sono gli stessi che sperimentano gli effetti negativi di una crisi economica che Macri non ha mai potuto dominare.
Anzi, in genere mentre finanzieri, banchieri e grossi gruppi economici si mantengono a galla e ci guadagnano anche dalle tempeste, i cocci rotti sono tutti a carico della gente che vive di stipendio, esposta al licenziamento ed alla precarietà o con una riduzione importante della qualità della sua vita. Domenica si è votato anche col portafoglio e quasi la metà dei votanti, anche la classe media che quattro anni fa era irritata con lo scandalo della corruzione del governo precedente, ha voltato le spalle a Macri ed alla promessa di una felicità che non è mai arrivata e nemmeno il governo è riuscito a identificarla con qualcosa di più che non sia la possibilità di consumare di più nei centri commerciali.
Ci sarebbe, ovviamente, molto di più da dire. Perché deve far riflettere un voto che sempre più è un no a qualcuno, più che un sì a una proposta. Se nel 2015 il no era per Cristina e seguaci, oggi il no è a Macri e compagnia. Ma né quattro anni fa, né oggi è chiaro a cosa si dica sì.