PERIPLI
Lo avremmo assaporato ancora una volta? Ci avrebbe accolto? Sì, sì, scendeva giù a fiotti, delicato, giù dai verticali pendii e dalle minuscole vallette, sminuzzato dalle fronde degli alberi, salutato dai conigli selvatici e dai cinghiali, ospitato sulle ali di gabbiani; rotolando tra le falesie, a picco sul mare, scivolava silenzioso giù giù lungo le piccole baie incantate, facendosi strada tra ciottoli e sabbia, alfine planando sulle piccole creste di un mare turchese. Eccolo, finalmente ci giunse! Eccolo l’odore pungente di macchia, l’odore del Mediterraneo! Pareva di vederlo, quel profumo denso e intenso di mirto e di cisto, di resine, di fichi e corbezzoli. Ci baciava, ci porgeva il suo saluto odoroso, offrendosi alle nostre nari stanche dei miasmi della città e dei suoi puzzolenti fumi. Sembravamo tutti cani da caccia, impazziti dalla gioia per aver agguantato l’usta d’una preda ambita.Quel mattino di primavera la costa dell’isola ci si presentò così, dopo il lungo viaggio, profumata apparizione, avvolta ancora nella caligine del mattino, circondata dal pianto lamentoso – come di lattanti affamati – che usciva dalle ugole delle berte neonate, mostrando quasi vergognosa le piccolissime case del porticciolo antico, la stradella che saliva, la macchia scura di lecci e lentischi…. È un pezzo del nostro diario di bordo. L’arrivo, una mattina, all’isola di Capraia. Solo arrivando dal mare è possibile cogliere le essenze di un isola, odorose di mistero e di sogno. Le isole. Le piccole isole. Arcipelaghi. Nesòs, la parola greca per dire isola, significa anche colei che naviga. Realtà che pare sfuggire alle rotte, nascondersi al navigante, compagnacomplice della sua navigazione. E così deve essere stato nell’Egeo degli antichi, ricchissimo di isole dove il Meltemi incuteva terro-re. Pantelleria deriva da una parola araba, Bentalrhia, che significa Figlia del vento! Le nesòs, che scomparivano dietro un temporale o che, per un rozzo calcolo di rotta, riapparivano per incanto dove non previste, furono pensate come grandi zattere alla deriva, in balia di venti, di dèmoni e dei. Isole di anacoreti e predoni, di tesori e scorrerie, di magra sussistenza, di vigne striminzite, di pesce. Oggi realtà fragili nella loro distanza dalle terre, ora che i demoni e i corsari sono i traghetti e le petroliere, la chimica, le ottusità degli uomini. Le coste di una piccola isola definiscono il margine e decretano la spartizione dei Regni, quello d’acqua e quello di terra. Tutt’intorno.Brani di terra inventati dal magma e rifiniti dal vento, non meraviglia che leggende e miti di ogni latitudine ne descrivano la nascita come gemme di diademi solidificatesi nel mare, lacrime degli dèi rese calcaree dal Fato. Isole dai profili di navi, o che paiono i draghi della nostra infanzia sprofondati per sempre nel mare, o testuggini dai carapaci giganti. Circumnavigare un’isola è esperienza di totalità per il navigante. È tessere dal mare un muto dialogo con la costa, con le baie di echi e silenzi, dirupi con spiagge ferrose e nere trapuntate di asfodeli tra apparizioni di timide capre lanose dalle corna ritorte. Mentre si procede intorno alle piccole isole sotto vela o con la forza del remo, le meccaniche degli astri ci si offrono limpide e primigenie come agli inizi della creazione. È un viaggio nel viaggio, la prospettiva apparendo sempre nuova per il mutare della rotta e il variare dell’inclinazione della luce sulle coste. Il sole percorre la sua parabola, taglia dapprima le acque con la luce fresca del mattino come una fresa il diamante, infuoca potente di dèi meridiani il mezzodì pieno di luce e d’inquietudine, declina infine disegnando profili lontani di terre e orizzonti acquarellati d’indaco. E dentro microscopiche cale e porti ecco i villaggi dei pescatori, le casupole alte e strette addossate tra loro come per paura che sembrano gessetti colorati dove il salmastro ricama sull’intonaco le sue trame bizzarre. Un isola, le sue cale, le sue coste, non sono mai regno del Silenzio. Un isola parla. Parla perché risponde al mare che le parla, il mareche è l’ amante azzurro e avvolgente di ogni piccola isola. Il fraseggio del mare e del vento è una rapsodia potente come il tempo, composta di risacche e di bufere e di spumeggii emergenti da grotte sotterranee che sorprendono e meravigliano. E quando arriva la sera, ed il mite crepuscolo mediterraneo ci si offre accompagnato dal delicato sussurrio delle onde di un mare ormai rosa e cobalto, ci si sorprendere a procedere lenti, attendendo la notte – se siamo costretti ad un arrivo in porto in notturna – che in mare arriva piena, densa e orizzontale, e sa di alga e di legno umido e salmastro. E con i compagni di navigazione si avverte il sacro, e tra le prime luci dei cargo alla fonda e di lampi di mede e di fari, si sussurrano frasi antiche, si tace e si prega. Maria: porto, pianto, manto, golfo, madre. PIANOSA Scherzo di terra/ Sogno mattutino di pini miracolosi/ Verde nato dall’acqua/ Come laguna emersa dal tempo. Terrazza orizzontale/ E sguardo totalmente circolare,/ resto disperso e fermo di un tempo ferito:/ adesso/ possibile immobilità sotto il vento. Terra trovata/ E subito vista allontanarsi,/ custodita dalle onde:/ non sei più solo visione/ ma nodo che già unisce/ desideri/ storie/ nostalgie,/ tutto ciò/ che serve/ a cambiare la vita. ELBA Occorrerebbe essere Argonauti/ per decifrare Cosmopolis/ raccontare le tue storie/ penetrare il mare/ tra scintille etrusche di fornaci e tramonti/ e cale corsare. Maestrine innamorate/ a dorso d’asino/ ho immaginato scarpinare/ tra terrazze d’ansonico e olivi antichi/ abbarbicati/ porgerci odorose nostalgie/ e pane e fichi e vino/ come regali doni di dee/ sotto un pergolato lieto/ di macchia e di sole. Elba sono tutti i colori/ pietre e mari/ ginestre e fari/ erica a primavera/ Barbarossa/ Terranera./ Calamita la tua Punta oscura. Pirite e pirati/ cristalli e graniti/ baie di incanti e silenzi/ azzurri ghiaie giade./ Nelle acque calme dei tuoi porti-gioielli/ scalmi remi/ cime e gasse/ son pennellate forti e grasse/ ocra e turchesi/ fra le reti e le nasse. Elba sono tutti i suoni e tutte le luci/ e sono gli odori/ sono gli scogli e gli imprevisti fari/ risate e urla di pescatori/ e pastori/ dalla vita elementare/ le rughe solchi/ squame lame/ facce arse di merluzzi sotto sale. E adesso che la memoria canta/ Tu gioca-anima/ E respira, finalmente anima mia/ spalancata sul maestrale che non fa più paura/ ora che/ tra sabbie ginestre e gabbiani/ assaporo salmastra/ l’aria di Casa. Ebbri di mare e d’amicizia/ fu un periplo antico,/ silente come il mare,/ a sigillare il nostro pianto/ nel vento.