Pericle dentro un letto d’ospedale
La vicenda di Pericle è la metafora di una ricerca morale. Meglio ancora, di una conquista di se stessi attraverso la sofferenza e le peregrinazioni. Il giovane principe scopre il male nel rapporto incestuoso che lega il re di Antiochia alla figlia, della quale egli avrebbe voluto fare la sua sposa. Impaurito se ne fugge perché la conoscenza di tanto sordido segreto può portare alla distruzione sua e del suo regno. Vanamente inseguito da un sicario, approderà dopo un naufragio a Pentapoli, in Cirenaica, e sposerà la figlia di quel re, Taisa, che subito gli muore per mare (salvo poi un miracoloso intervento farla tornare in vita) dopo aver dato alla luce una bimba che egli chiamerà Marina. La sorte di lei sarà altrettanto avversa e dolorosa di quella del padre, passando anche dal rapimento, da tentativi di violenza e da squallidi bordelli.
In un ordito picaresco di fughe, tempeste, naufragi, assalti di pirati, congiure, dispute d’amore, sortilegi, rinascite, agnizioni, e l’intervento divino di Diana, il finale vedrà ricomporsi la famiglia che le beffe del destino e la malvagità degli uomini avevano disperso. Opera romanzesca alquanto disorganica e complessa, considerata l’ultima di Shakespeare, Pericle principe di Tiro mette in campo molti registri stilistici: il lirico e il tragico, il comico e il grottesco, e sorprendenti variazioni narrative. Proprio questa discontinuità può servire da stimolo alla creatività e alla fantasia di un regista. E di inventiva ne ha molta l’inglese Declan Donnellan nel pensare e ambientare l’intera vicenda – con gran parte di tagli e adattata nella traduzione di François Guizot in lingua francese – all’interno di una moderna stanza d’ospedale con il protagonista malato tenuto in osservazione, il quale, sedato con la morfina, in alcuni momenti di lucidità si risveglia e rivive in maniera agitata le sue vicende di cui, di volta in volta, alternando ruoli diversi, sono improvvisamente protagonisti infermieri, dottori e parenti in visita, mentre il racconto viene continuamente interrotto e frammentato dalla routine medica.
L’attualizzazione a tutti i costi non sempre è necessaria e non sempre funziona. Ci sono opere, specie i classici, che vanno trattate, rivisitate, rilette, con le dovute precauzioni, fra tutte quella di mantenere il senso e l’essenza di esse, il cuore del messaggio dell’autore. Qui testo e storie, versi poetici e parole attuali, ambientazione e rievocazione, stridono parecchio, non collimano con una organica e coerente visione in un’unità narrativa di quella che Donnellan intende come un viaggio nella memoria che la mente offuscata di Pericle compie vagheggiando di perdere, e poi di ritrovare, i suoi cari.
Se la grande avventura interiore di Pericle viene circoscritta in un unico ambiente (opera del designer Nick Ormerod) dall’indubbio nitore visivo – una dettagliata stanza ospedaliera, con annessa porta battente che dà su un corridoio, color blu cobalto che si rifà alla tinta del mare –; se le azioni vengono riassunte in gesti e sequenze che vorrebbero rimandare agli eventi cruciali – fra cui la tempesta in mare, di cui udiamo lo sciabordio, risolta con il paziente che si versa sulla testa dell’acqua dall’orinale; la moglie Taisa portata via su una barella dopo la morte, solo apparente, durante il parto; lo scontro guerresco dei cavalieri a Pentapoli trasformato in un polverone da dietro i vetri della porta battente; l’investitura dell’armatura di Pericle che altro non è che una camicia di forza –; se tutto questo, e altro ancora, brilla per originalità e immaginazione, non sortisce però nessun appiglio emozionale che ci possa restituire la leggerezza e la drammaticità, la forza della parola e la magia di Shakespeare. Se c’è una sequenza in cui avvertiamo un pulsare che ci riporta a un’attenzione di verità è quella del ricongiungimento di Pericle con Marina. Nell’incontro tra il padre gravemente malato e la figlia creduta per sempre scomparsa c’è qualcosa di autentico e di commovente che riaccende un bagliore di profonda umanità in questa versione alquanto bizzarra. Bravi comunque gli attori tra cui l’eroe dalla chioma e barba brizzolata Christophe Grégoire. E con lui gli altri interpreti della produzione francese di Cheek By Jowl: Xavier Boiffier, Valentine Catzéflis, Cécile Leterme, Camille Cayol, Michelangelo Marchese, Martin Nikonoff.