Perché non vada in cenere il buonsenso
La Grecia è in fiamme da alcune settimane. Abbiamo visto immagini satellitari che parevano rubate a un film di fantascienza. Abbiamo letto reportage dai vari fronti del fuoco che sembravano uscire dai taccuini di inviati di guerra. Dopo l’Italia meridionale, andata in cenere fin da luglio, è dunque toccato all’Ellade, devastata dal Peloponneso all’Eubea. Le stesse vestigia di Olimpia, luogo fra i più significativi della storia dell’umanità, hanno rischiato di scomparire, perché alle temperature prodotte dagli incendi di ulivi secolari e piante resinose, i marmi sfarinano e i bronzi fondono. Forse Zeus, che Fidia qui raffigurò nella famosa statua crisoelefantina, oppure Ermes, che suggerì a Prassitele i canoni della bellezza per modellare la propria effige nella statua qui conservata, hanno fermato le fiamme proprio sulla soglia del museo. Non l’uomo, ormai impotente. Ora è il tempo delle recriminazioni, in Italia come in Grecia. La lunga siccità, la temperatura eccezionalmente elevata, l’inadeguatezza dei mezzi di intervento, sono state certamente le cause scatenanti. Le Cassandre avevano parlato, eccome. Ma il destino non le vuole ascoltate, massime nella loro terra. Proprio da questa tragedia che in Grecia ha fatto allineare nelle chiese quasi cento morti carbonizzati, che ha incenerito oltre un milione di ettari fra boschi e campi coltivati, si trae pretesto per alimentare faide politiche. Così si finirà per ridurre in cenere anche il buon senso e la possibilità di trarre argomento dai fatti, per porre mano ai veri rimedi che pure esistono. Innanzitutto è indispensabile che il vento sollevato dai media non alimenti le fiamme delle recriminazioni. Non solo l’attuale governo, ma anche quelli che lo hanno preceduto, si dividono le colpe dei ritardi che ora si rinfacciano. Altrettanto dicasi per la legislazione che deve essere aggiornata per opporre una barriera efficacemente dissuasiva nei confronti dei piromani, perché di loro si tratta, e non di fantomatici servizi segreti ostili, come qualcuno pretenderebbe; e neppure di autocombustione, se non in minima parte. Anche il pretesto della speculazione edilizia non è credibile, quando si sa che costruire nei terreni devastati dal fuoco sarà vietato.Mentre, soltanto in Italia, sono state denunciate dal corpo forestale in questi ultimi anni ben 2700 persone per avere causato incendi.Ma quasi nulla è stato detto sul profilo antropologico dell’incendiario – afferma in un documentato intervento su Repubblica, Cesare Patrone, capo del Corpo forestale dello Stato – il quale descrive l’incendiario come un emarginato anche dal contesto rurale in cui vive (…). Non si comprende – continua Patrone – perché gli emarginati delle città debbano essere accuditi, quelli delle zone rurali, invece, dimenticati. Ma esiste anche un’altra categoria sotto accusa: quella degli stagionali del Corpo forestale che legano la propria sopravvivenza agli incendi. Anche fra costoro sono stati operati arresti. L’elenco delle considerazioni negative potrebbe continuare, ma conviene trarre insegnamento anche da quegli effetti positivi che si sono prodotti in questa emergenza. Innanzitutto quello della solidarietà internazionale, con interventi, come quelli dell’Italia in Grecia, attuati nonostante fossero ancora in atto da noi vastissimi incendi. Di qui anche la proposta di costituire una task force europea specializzata, che dovrà essere operativa entro la prossima estate. Quanto detto finora non assolve però le colpe dei responsabili di gravi inadempienze fra amministratori e tecnici preposti al funzionamento delle strutture che già esistono. Si pensi che a Olimpia un imponente impianto antincendio, realizzato in occasione delle recenti Olimpiadi, si è dimostrato inutilizzabile per la totale mancanza di manutenzione. Molto probabilmente gli amministratori attuali, compreso lo stesso governo, a causa di quanto accaduto perderanno le prossime elezioni che credevano di avere già vinto, ma a nulla servirà il ricambio se non si capirà che l’arma per sconfiggere questi eventi si chiama prevenzione e che a questa si dovranno destinare risorse ben più ingenti che per il passato, perché la meteorologia non promette tempi facili, per molti anni ancora, alle regioni della sponda europea del Mediterraneo.