Perché non si vuole fermare l’epidemia?

Presentato in Senato il dossier sui costi sociali e sanitari del gioco d’azzardo. Intervista a Daniele Poto, della campagna “Mettiamoci in gioco”, coautore di “Azzardopoli”, dossier di Libera sul gioco d’azzardo e le connessioni con la criminalità organizzata
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Prima la presentazione dei dati in una sede istituzionale, in Senato il 4 dicembre, e dopo la manifestazione al Nuovo cinema Palazzo a Roma, una sala occupata dai cittadini per evitare che la struttura si trasformi nell’ennesimo punto di gioco e scommesse che stanno invadendo le città grandi e piccole. I sindaci, infatti, non hanno gli strumenti per opporsi a una legge dello Stato che ha liberalizzato il settore. Dove sta la legalità? Prima dei dati occorre interrogarsi sulla cultura che favorisce il paradosso di 800 mila malati per dipendenza da gioco patologico e sul volume di 80 miliardi di fatturato all’anno del settore. Alla radice, secondo l’economista Luigino Bruni, esiste una visione pessimistica sull’uomo, condivisa da un certo pensiero economico dominante e cioè che dalla crisi si esce con il vizio piuttosto che con la virtù.

Per capire meglio il fenomeno e le possibili soluzioni, abbiamo intervistato Daniele Poto, uno degli autori di “Azzardopoli”, dossier di Libera sul gioco d’azzardo e le connessioni con la criminalità organizzata. Poto ha scritto diversi libri tra cui “Mafie nel pallone” sull’illegalità diffusa nel gioco del calcio.

Come mai a suo giudizio l’Italia sembra essere il primo Paese al mondo per la spesa pro capite nel gioco d’azzardo? Cosa sta accadendo nella nostra società?
«L’Italia è al primo posto nel mondo per la dissennata politica governativa. La centralità dello Stato biscazziere nel creare puntualmente deregulation e una virtuale giungla dell’azzardo ha fatto in modo che fossero creati e incoraggiati bisogni secondari a dispetto di valori e bisogni primari. La situazione sul tappeto è pari a quella di un terremoto “sociale”. La creazione di disvalori ha provocato l’accensione della patologia che oggi riguarda un universo di 800 mila italiani. E ogni malato patologico riverbera i propri problemi, da analisi scientifica, su almeno sette persone a lui vicine. Per cui possiamo affermare che un italiano su dieci risente di questa temperie. Una vera e propria catastrofe sociale di cui lo Stato è responsabile, nell’alternanza di governi di vario colore negli ultimi venti anni».

Quali interventi andrebbero compiuti per evitare il dilagare della piaga sociale?
«Sgonfiare la bolla speculativa dell’azzardo. Ridimensionare il sistema con una moratoria che vieti il proliferare di nuovi giochi, soprattutto online. Calmierare l’offerta in ragione della domanda. Frenare l’escalation delle videolottery, che oggi sono 411 mila sul territorio nazionale. Aumentare i controlli sul territorio, relativi soprattutto alla maggiore età dei giocatori. Conferire impulso alla guardia di finanza con riferimento all’evasione fiscale. Varare una vera legge quadro di sistema, diversa da quella attuale che è una pallida imitazione di un provvedimento sensato e  paragonabile, rispetto al problema, al tentativo di svuotare l’oceano con un secchiello da spiaggia».

Esiste un certo orientamento culturale favorevole alla diffusione del gioco d’azzardo?
«Più che un orientamento esiste una fortissima lobby che preme sul governo, sulle istituzioni, che è disposta a sponsorizzare persino le patologie, a pagare, a corrompere. Basta controllare il casellario giudiziale di alcuni gestori diretti o indiretti dei concessionari per accorgersi che non tutto è adamantino in questo mondo, a partire dall’etica dei Monopoli di Stato oggi affiancati alle dogane. Quando è stato varato il decreto legge Balduzzi uno zoccolo duro di parlamentari embedded (per dire poco) ha boicottato il provvedimento, rendendolo difficilmente riconoscibile, alla fine del suo iter, a fine ottobre 2012, dallo stesso ministro proponente».  

Che decisioni ha preso il governo Monti? Sono efficaci? Quali interventi vede necessari?
«Purtroppo il governo Monti in questa materia si è mosso in perfetta linea di continuità e coerenza con il governo Berlusconi. La legge è ricaduta in una palude demagogica di scarso impatto sul sistema. E si continua a incrementare lo sviluppo dell’azzardo con il poker e le slot live, i nuovo bandi, l’ampliamento da 10 a 13 della vasta area di concessionari. Non si sperava di più, ma il giudizio rimane fortemente negativo per quello che non si è fatto e per quello che si è continuato a lasciare fare secondo una politica dello slogan liberista “laissez faire”. Con i risultati devastanti che sono sotto gli occhi di tutti».

Chi sono i concessionari del gioco d’azzardo in Italia e quali collegamenti esistono con altre attività?
«Il profilo tipo del concessionario in Italia in generale è quanto mai ambiguo. Trust che appartengono a complessi pacchetti azionari, difficilmente riconducibili a un’unica persona fisica. I concessionari mangiano la fetta più grossa della torta allestita dallo Stato che rinunciando al carattere di monopolista ha dato in concessione l’esercizio ma con ampi periodi di vacatio. Come se prevedesse che una modesta sacca di illegalità potesse arricchire il fatturato dello Stato. Un po’ la stessa logica permissiva che regna per quanto riguarda il pagamento delle tasse e la “sopportata” evasione fiscale».

Come giudica il caso del colonnello Umberto Rapetto che si è dimesso polemicamente dalla guardia di finanza dopo un’inchiesta che ha portato a una mega multa miliardaria per i re dei videopoker?
«È un caso clamoroso. Probabilmente Rapetto non è stato l’unico artefice della scoperta della maxi-truffa che ha portato a un’iniziale super penale di 98 miliardi a carico dei concessionari. Indubbiamente lo Stato, il governo avrebbe comunque dovuto essergli grati per la sua meritoria azione di prevenzione e contenimento. Ma è una delle tante storie all’italiana proposte dall’attualità. Oggi Rapetto lavora per l’industria privata mettendo a frutto quelle conoscenze e quel know how che le istituzioni non gli hanno riconosciuto fino in fondo. Rimpianto anche dalla stessa guardia di finanza che non ha un soggetto di pari valore e personalità per sostituirlo».

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