Perché non riesco ad amarlo?

È possibile covare rabbia, fastidio, disgusto per un genitore o per un figlio? È possibile che la disapprovazione per un comportamento o una scelta possa essere così generalizzata da trasformarsi in inaccettazione della persona? I motivi per cambiare idea e recuperare i rapporti familiari.
Una famiglia

La famiglia nell’esperienza dei più è un bene indiscusso. Con essa si stabilisce un rapporto che non ha confini né limiti temporali, ma che per diventare tale ha avuto bisogno di diversi aggiustamenti reciproci delle rispettive posizioni dei singoli membri o delle sottocategorie in essa presenti. Questo è quello che accade in una famiglia tipo, composta da una coppia genitoriale che per lunghi anni è deputata alla nutrizione, all’accudimento, all’accoglienza, al controllo e al sostegno allo sviluppo del gruppo dei figli, i quali in risposta al comportamento dei genitori, durante gli anni, possono maturare un senso d’appartenenza al nucleo familiare e una corrispondenza affettiva chiamata legame primario.

Può accadere, soprattutto nell’adolescenza ma anche nell’età adulta, che delle incomprensioni, delle scelte o dei comportamenti, fino anche a fatti molto dolorosi (come ad esempio un incidente, un aborto, una delusione, una squalifica anche involontaria, un tradimento nelle sue varie forme o la separazione dei genitori) si trasformino in una inaccettazione dell’altro.

È possibile covare rabbia, fastidio, disgusto per un genitore o per un figlio? È possibile che la disapprovazione per un comportamento o una scelta sia così generalizzata da trasformarsi in inaccettazione della persona? Per motivi d’orgoglio queste cose accadevano ieri come oggi.

Gli studi psicoterapeutici sono pieni di figli che non si sono sentiti sufficientemente stimati o accettati dai genitori nonostante i loro benevoli tentativi, o di genitori affranti per non riuscire a costruire un rapporto adeguato con un figlio.

Perché è importante rigenerare interiormente un buon rapporto con le proprie figure parentali?

  1. Perché per lunghi anni si è avuto bisogno dei loro occhi per scoprire se stessi. La propria immagine era costruita sui loro rimandi, e questi rimandi restano vivi e forti nella persona e nonostante gli sforzi attivi di cambiare sguardo su se stessi, ogni tanto tornano a farsi sentire. Ad esempio quando si deve affrontare una prova importante, quando lo stress comincia a stancare o quando si diventa genitori a propria volta. È importante dunque imparare a contrastare l’effetto negativo che alcuni messaggi precoci possono causare o riscoprire in essi un nuovo senso, più attuale e in linea con l’età di oggi.
  2. Perché il modo in cui la persona ha imparato a vedersi è un filtro con cui legge la realtà e ciò che le accade. Funziona dunque come una sorta di proiezione di se stessi nel mondo. Non esiste per la nostra mente il concetto di realtà autentica, esiste l’interpretazione che la persona ne può fare a partire dagli occhiali che indossa. Ridare senso alla propria storia relazionale con la famiglia d’origine può aiutare ad avere relazioni migliori con se stessi e con gli altri proprio a partire da una loro rilettura.
  3. Perché una rabbia, un dispiacere e tutto ciò che resta come un vissuto non risolto rappresenta per la persona un blocco, un’area chiusa della sua persona. Riaprire questi scomparti di sé è doloroso, ma se ben fatto può permettere alla persona di riscoprire in sé una energia vitale, una bellezza nascosta, la capacità di fare scelte libere e non ancorate a punti di partenza che hanno il carattere della “reattività in reazione a” o dell’orgoglio. Il dolore temuto rischia di rinforzare la chiusura. Il dolore urlato dalle tante persone ferite continua a generare solo altro dolore in sé ed attorno a sé. Il dolore vissuto e superato è l’unico che può ridare forza e vitalità.
  4. Perché prima o poi la vita chiede di fare un bilancio in retrospettiva e la persona ha bisogno di sapersi identificare con origini buone della sua vita. Fa parte della natura dell’essere adulto di saper accettare gli sbagli, saper ricominciare traendo e valorizzando comunque il buono che c’era. Nessun essere umano è perfetto, nessuna relazione lo è, e allo stesso modo nessuna famiglia lo è. Rileggere la propria storia con gli occhi di adulto permette di andare oltre l’anacronistica lettura del bambino frustrato o incompreso o dell’adolescente arrabbiato, parti che convivono tutte nella persona. Essa diventa una condizione necessaria per recuperare quella serenità interiore che è a sua volta un’indispensabile ingrediente del benessere personale e integrale della persona.

Anche Donald Woods Winnicott, psicologo inglese, intorno alla metà del secolo scorso, parlava di “genitore sufficientemente buono” non di genitore perfetto.

Le persone cambiano e non possono essere ridotte ad una posizione assunta o ad un comportamento: sono molto di più. Ciascuno ha una propria storia che, sebbene non lo giustifica, ne spiega il comportamento. All’interno della storia di ognuno trovano senso le scelte e le azioni, giuste o sbagliate che siano. Conoscere la storia delle proprie famiglie e delle persone che le compongono diventa indispensabile per comprendere l’altro, per creare vicinanza e per scoprire in ciascuno quella dose di intenzionalità positiva che può aiutare a ridurre la rabbia per gli altri e la capacità di essere a propria volta figli, genitori e persone migliori.

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