Perché mi chiamo Francesco
Papa Francesco colpisce per l’esempio, la spontaneità, la gioia, i gesti caldi e affettuosi, il modo con cui saluta i suoi amici. Sa che la comunicazione non verbale è importante quanto la parola scritta perché colpisce l’immaginario, si sedimenta nella memoria. Non è certo una strategia comunicativa, ma è fatto così, saluta con la mano, procede con un andatura claudicante che trasmette simpatia, calore, umanità. Se ne sono accorti anche gli operatori dei media, provenienti da 81 Paesi, che l’hanno accolto con un caloroso applauso al suo arrivo stamane poco dopo le 11 nell’Aula Paolo VI.
Il papa ringrazia i giornalisti per il loro qualificato lavoro di questi intensi giorni di lavoro, dalla rinuncia dell’11 febbraio di Benedetto XVI, fino alla sua elezione, avvenuta mercoledì 13 marzo. «Avete lavorato, eh?» ‒ dice sorridendo e scherzando e, poi, fornisce la sua chiave interpretativa su come “leggere” gli eventi della Chiesa che si possono comprendere solo nella dimensione della fede. «La Chiesa, infatti, ‒ spiega il papa ‒ pur essendo certamente anche un’istituzione umana, storica, con tutto quello che comporta, non ha una natura politica, ma essenzialmente spirituale: è il popolo di Dio. Il santo popolo di Dio, che cammina verso l’incontro con Gesù Cristo. Soltanto ponendosi in questa prospettiva si può rendere pienamente ragione di quanto la Chiesa cattolica opera». E ha ribadito come il centro della Chiesa non sia il papa, ma il Cristo perché «senza di lui Pietro e la Chiesa non avrebbero senso». Il suo è un approccio positivo: ringrazia gli operatori dei media, sottolinea la grande attenzione della Chiesa per il loro lavoro, riconosce la capacità di «esprimere le attese e le esigenze del nostro tempo per una lettura del nostro tempo».
«Il vostro lavoro ‒ conclude papa Francesco ‒ necessita di studio, di sensibilità, di esperienza, come tante altre professioni, ma comporta una particolare attenzione nei confronti della verità, della bontà e della bellezza; e questo ci rende particolarmente vicini, perché la Chiesa esiste per comunicare la Verità, la Bontà e la Bellezza “in persona”. Dovrebbe apparire chiaramente che siamo chiamati tutti non a comunicare noi stessi, ma questa triade esistenziale che conformano verità, bontà e bellezza».
A questo punto il papa improvvisa, forse intuisce che i giornalisti hanno bisogno di notizie, e racconta perché ha scelto il nome di Francesco. «Durante lo svolgimento dell’elezione ero seduto accanto al mio grande amico, il cardinale Claudio Hummes e quando la cosa diventava un po’ pericolosa, lui mi confortava. Quando sono stati raggiunti i due tersi dei votanti c’è stato l’applauso, lui mi abbraccia e mi ha detto: “Non ti dimenticare dei poveri!”. In quel momento mi è venuto in mente Francesco d’Assisi. Mentre proseguiva lo scrutinio dei voti ho pensato alle guerre. Ebbene Francesco è l’uomo della pace, custodisce il creato e ama i poveri, così mi è venuto in mente questo nome». E, poi papa Francesco aggiunge una frase che sembra quasi un manifesto programmatico: «Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri». Un volta eletto, tanti cardinali gli si avvicinano e scherzano sul nome da scegliere come papa. «Uno mi ha detto ‒ racconta il papa ‒ di prendere il nome di Adriano VI perché è un riformatore, un altro di prendere il nome di Clemente XV contro Clemente XIV che abolì la Compagnia di Gesù». È un papa che sa scherzare e far ridere, il che è una qualità. Poi, tornando serio conclude: «Vi voglio tanto bene, vi ringrazio per tutto quello che avete fatto. E penso al vostro lavoro: vi auguro di lavorare con serenità e con frutti, e di conoscere sempre meglio il Vangelo di Gesù Cristo e la realtà della Chiesa».
E fatto insolito non dà la benedizione con il segno della croce perché «rispetto la coscienza di ognuno, anche se ognuno è un figlio di Dio. In questo silenzio ognuno prenda la benedizione. Che Dio vi benedica».
Molti i giornalisti presenti. Sandro Magister, vaticanista de L’Espresso online, sottolinea come «papa Francesco sorprende con un sapore antico nelle cose nuove che fa. È una guida, un maestro che si china sulle ferite del cuore dell’uomo per trasmettere con immediatezza i sapori del Vangelo». Marco Politi, editorialista de Il Fatto, è piaciuto il racconto del momento cruciale del Conclave perché «molto umano. Ha, inoltre espresso tre linee chiave del suo pontificato: la vicinanza ai poveri, la pace e la custodia del creato. La scelta della povertà, poi, è il programma per la riforma della Chiesa. Non mi è piaciuta l’organizzazione formale dell’udienza perché, in passato, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II si avvicinarono e parlarono con i giornalisti». La giornalista Elena Ioushkhrskaia del quotidiano russo Commersand spera che «il suo esempio sobrio, semplice, sorridente, gioioso, possa diventare di moda anche tra i politici, come anche il suo rifiuto dei simboli del potere». Per Ignazio Ingrao di Panorama il papa «dimostra di essere una persona di spiritualità e preghiera. Non penso farà sconti a nessuno, ci sarà un grande rigore per tutti».