Perché l’euro non attira? Lo si capisce a Orchard Road
Per capire qualche sarà il futuro dell’euro bisogna andare lì dove l’euro non sembra avere più futuro. Singapore è uno di questi luoghi. Uno dei santuari della finanza mondiale, città-Stato di quasi cinque milioni di abitanti (quattro cittadini per uno straniero) su 750 chilometri quadrati appena, un concentrato di istituzioni bancarie e finanziarie che fanno di questo minuscolo Paese un incrocio di merci e denaro che fa spavento. Singapore pare lontana mille miglia dalla crisi finanziaria e di nervi che sembra attanagliare la vecchia Europa.
È vero, qui la democrazia esiste ma forse solo sulla carta, o parzialmente, all’asiatica; qui affluiscono capitali senza che i controlli siano stretti sulla loro “immacolatezza” come nel Vecchio continente; il milione di immigrati vive in una condizione certamente non favorevole come quella dei cittadini; la solitudine pare occupare lo spirito di molti, come mostrano i mezzi di trasporto dove tutti sono “immersi” nel loro smartphone, o nel loro iPad; e sempre qui non si va molto per il sottile nella fedeltà ai partner finanziari ed economici: se non ci conviene più un affare si cambia. Ma qui la disciplina è british; qui le scuole funzionano benissimo e i servizi pubblici sono impeccabili; qui anche chi è povero ha il telefonino. Gli analisti locali affermano semplicemente che qui si decide di investire solo dove la sicurezza del rendimento è maggiore, dove non ci sono dubbi che la ruota della borsa valori sarà in rialzo. Così i fondi d’investimento che qui hanno uno delle loro roccaforti sembrano disertare l’Europa.
E fin qui non c’è nulla di strano, cose risapute. Ma una semplice passeggiata per Orchard Road, la maestosa via del Corso di Singapore, dice molto, moltissimo, spiega certi perché di questa situazione schizofrenica. Qui c’è tanta gioventù, sia autoctona, sia attirata dalla qualità delle scuole che dalla eguaglianza delle chance offerte a tutti: chi vale vale e può farsi strada. Gli anziani sono una piccola minoranza, e il ricambio generazionale funziona. C’è poi non poca voglia di fare, e non si guarda ai privilegi acquisiti: se credi che qualcosa ti sia dovuto ben presto verrai espulso dal mercato. In terzo luogo si nota come la creatività qui sia di casa: la più moderna architettura, soprattutto di matrice europea, viene attirata dai capitali, creando un circolo virtuoso tra funzionalità e bellezza. Inoltre qui si sa coniugare assieme vecchio e nuovo, il vecchio Hotel Raffles di coloniale memoria fronteggia i grattacieli della Raffles City. Infine, la commistione di razze e culture qui a Singapore funziona eccome, l’integrazione porta frutto.
Tutto bene a Orchard Road e tutto male a via del Corso, o a via Montenapoleone, o agli Champs Elysées, o ancora nella City londinese? Certamente no. La tradizione europea continua a fare scuola nel design (Prada, Versace, Louis Vuitton…), nella cultura (le biblioteche sono piene di romanzi del nostro Vecchio Continente), nella finesse (invidiata, ma oramai poco conosciuta), nell’eleganza (bruttissimi gli short dei giovani di Singapore, anche se firmati, ma altrettanto distinti i vestiti di chi va al lavoro), nella profondità spirituale (le chiese qui vivono di tradizioni europee coniugate alla cultura più seria). Ma qui si capisce perché l’euro non ha appeal, non attira: perché l’Europa appare come il simbolo del passato. L’Atlantico è stato soppiantato da altri oceani nell’essere il centro dei traffici del mondo. C’è proprio da sperare che l’Europa riesca a guardare oltre le proprie frontiere per ritornare quel che era. O meglio, per diventare una cosa nuova.