Perché la Chiesa è “semper reformanda”?
Il cammino progressivo della storia e l’azione dello Spirito attraverso i carismi mantengono la Chiesa in un continuo movimento di riforma. L’autore, ordinario di teologia dogmatica alla Pontificia Università Maynooth (Irlanda), ci offre alcuni spunti di riflessione.
Nel documento del Concilio Vaticano II sull’ecumenismo si afferma che la Chiesa è chiamata da Cristo ad una continua riforma. In quest’articolo vorrei offrire un semplice approfondimento in risposta alla domanda: perché la Chiesa è “semper reformanda”?
Infedeltà al Vangelo
Certamente il “semper reformanda” si può spiegare semplicemente dal fatto che, essendo anche istituzione umana e terrena, la Chiesa ha sempre bisogno di riforma. I peccati dei suoi membri risultano dall’infedeltà al Vangelo e diventano come un offuscarsi del volto di Cristo che dovrebbe irradiare dal popolo di Dio. Un esempio troppo evidente di questo basilare bisogno istituzionale di riforma viene dall’esperienza della Chiesa nel mio paese. Come si sa la Chiesa in Irlanda sta attraversando una crisi profonda, in seguito alla pubblicazione dei rapporti sugli abusi sessuali compiuti da presbiteri e religiosi.
Ciò ha minato la tradizionale fiducia popolare nella Chiesa, mettendo in discussione tutto il suo operato. Non c’è una facile via d’uscita da questa crisi. Preoccupano soprattutto le ripercussioni sulla fede dei giovani, per quanto sia difficile valutarle da qui a dieci o vent’anni. Ma la questione va oltre gli abusi sui minori: richiede una risposta più vasta ad ogni livello da parte della Chiesa. La situazione è tesa: la Chiesa viene criticata anche dai cattolici più fedeli, che chiedono un approccio più partecipativo alla vita della comunità. I preti si sentono spesso disorientati davanti a quanto sta accadendo, e non si trovano sempre d’accordo su come comportarsi davanti all’ondata dilagante di laicismo.
L’immagine che viene in mente è veramente una notte oscura dell’animo collettivo. La lunga serie di accuse, incomprensioni, tradimenti, sospetti ed odio ha messo a dura prova lo spirito degli irlandesi e dei vescovi in particolare, la cui posizione adesso è tutt’altro che invidiabile. Si sente che occorre una riforma profonda nella vita di comunione a tutti i livelli. Come ha affermato Papa Benedetto nella Lettera ai Cattolici dell’Irlanda: c’è bisogno di una nuova visione e di nuove vie per la Chiesa, una profonda riforma appunto.
Sì, lungo la storia della Chiesa dobbiamo confrontarci onestamente con il tema del peccato nella Chiesa, cioè, le infedeltà al Vangelo. La Commissione Teologica Internazionale ci ricorda che “ciò che bisogna evitare è tanto un’apologetica che voglia tutto giustificare, quanto un’indebita colpevolizzazione, fondata sull’attribuzione di responsabilità storicamente insostenibili”[1].Comunque, è vero che, “la Chiesa… non teme la verità che emerge dalla storia ed è pronta a riconoscere gli sbagli, là dove sono accertati”[2].
La Chiesa è una realtà dinamica
Sebbene l’aspetto istituzionale abbia sempre bisogno di riforma per via delle mancanze dei membri, possiamo affermare un motivo in più, uno quasi essenziale, di riforma nella Chiesa: il fatto che la Chiesa, nei piani di Dio, non è una realtà statica, morta, senza vita, ma piuttosto una realtà dinamica che si sviluppa in modo organico, in rapporto vitale con avvenimenti e circostanze della storia.
Si potrebbe dire che la Chiesa è come il granellino di senapa di cui ha parlato Gesù; essa è come un seme gettato nei solchi della storia per crescere, sviluppare e diventare l’albero più grande di tutti. Ha la sua storia, e la storia stessa – intesa in senso più ampio – fa parte della sua storia di crescita e sviluppo sotto la guida dello Spirito Santo. Nel quarto Vangelo leggiamo che Gesù ha promesso ai suoi discepoli che avrebbe mandato lo Spirito Santo per guidare la Chiesa alla Verità tutta intera (cf. Gv 16, 13).
La guida in un percorso, per così dire, di “scoperta di sé”. Nel corso della storia, la Chiesa comprende sempre più che cosa, o meglio, chi è veramente. Il “semper reformanda” in questo senso vuole dire crescere nella fedeltà più grande alla sua vocazione di essere la presenza di Gesù fra gli uomini. La crescita nella comprensione della sua identità, nella sua forma e nella sua missione accade nella Chiesa attraverso la contemplazione e lo studio dei fedeli che vivono il Vangelo (con le gioie e fatiche di ogni giorno), l’esperienza di realtà spirituali (basta pensare ai fondatori, santi, mistici), attraverso la liturgia celebrata e vissuta, e attraverso l’insegnamento magisteriale del papa e dei vescovi (cf. DV 8). Si tratta di cogliere i segni della presenza e del disegno di Dio: “Il popolo di Dio, mosso dalla fede, per cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore, che riempie l’universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza e del disegno di Dio” (GS 11).
Alle volte sembra faticoso e tragico il travaglio della Chiesa nel suo cammino, anche perché condivide e partecipa dei drammi dell’umanità e cammina in modo solidale con l’umanità lungo i sentieri della storia. Si tratta di una comprensione progressiva della dimensione universale (e anche cosmica) di Gesù, del quale ella è continuazione e presenza. Le parole di G. Bedouelle mi sembrano adatte in questo contesto: “Proprio qui risiede la vocazione della Chiesa: essa non getta le sue reti dall’esterno, come se esistesse al di fuori di una Incarnazione, ma agisce dall’interno come il lievito nella pasta, e nulla è più perfettamente adeguato della parabola evangelica. Le sfide che riceve dall’esterno sono inoltre spesso accompagnate, persino sostituite, da tentazioni che ritrova in se stessa, Chiesa santa composta da peccatori.
Queste sfide interne non sono necessariamente degli errori, ma spesso dei valori meno elevati, o secondari, o meno puri, oppure semplicemente meno adeguati alla sua missione di annuncio di una salvezza dall’alto… Nella logica dell’Incarnazione, la Chiesa nutre stima per le civiltà che attraversa, vi si immerge, presta loro servizio e per lo più le ama… La Chiesa vive dunque tra gli uomini”[3].
Sono sempre attuali le parole di Giovanni Paolo II in riferimento alla storia della Chiesa in Europa, lì dove il papa mette in rilievo il legame forte fra il cammino della storia e la Chiesa: “Le crisi dell’uomo europeo sono le crisi dell’uomo cristiano. Le crisi della cultura europea sono le crisi della cultura cristiana. In questa luce, il cristianesimo può scoprire nell’avventura dello spirito europeo le tentazioni, le infedeltà ed i rischi che sono propri dell’uomo nel suo rapporto essenziale con Dio in Cristo. Ancor più profondamente, possiamo affermare che queste prove, queste tentazioni e questo esito del dramma europeo non solo interpellano il Cristianesimo e la Chiesa dal di fuori come una difficoltà o un ostacolo esterno da superare nell’opera di evangelizzazione, ma in un senso vero sono interiori al Cristianesimo e alla Chiesa”[4].
Alla luce di questo commento, la Chiesa, si potrebbe affermare, ha il suo cammino collettivo di fede. E questo implica una riforma, non solo per motivo del peccato, ma anche perché fa parte della natura della Chiesa come realtà dinamica guidata dallo Spirito Santo attraverso le crisi che la civiltà degli uomini passa, per diventare sempre più ciò che è: la sposa di Cristo. Assistiamo anche oggi a una straordinaria transizione ecclesiologica: da un modello secolare di Chiesa, che oggi non sembra reggere più, a un modello nuovo che lentamente sta emergendo. Certo, bisogna sempre ricordare che quando si parla di riforma non si tratta e non si può trattare di una radicale novità che si pone in discontinuità con la storia precedente, ma di una tappa ulteriore del cammino della Chiesa: una nuova fioritura di quel secolare albero che è la Chiesa[5].
Il Mistero Pasquale
Nel Vaticano II troviamo scritto: “La Chiesa ‘prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio’, annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga (cf. 1 Cor 11, 26)” (LG 3). Con questa affermazione tocchiamo un altro punto importante per capire la natura della riforma ecclesiale. La Chiesa nasce da Gesù crocifisso e abbandonato e, in fondo, la vita della Chiesa è chiamata ad avere un ritmo kenotico, seguendo e amando il Signore Cristo crocifisso e risorto nell’articolarsi interno nell’amore reciproco e nell’andare “fuori di sé,” in missione. Non manca mai la dinamica di morte e risurrezione.
Nella Lettera ai cattolici dell’Irlanda Benedetto XVI scrive: “le stesse ferite di Cristo, trasformate dalle sue sofferenze redentrici, sono gli strumenti grazie ai quali il potere del male è infranto e noi rinasciamo alla vita e alla speranza. Credo fermamente nel potere risanatore del suo amore sacrificale – anche nelle situazioni più buie e senza speranza – che porta la liberazione e la promessa di un nuovo inizio” (n. 6).
La fede ci fa riconoscere che, pur in mezzo alle contraddizioni e alle ferite, andiamo inevitabilmente, per Gesù abbandonato e risorto, verso la ricapitolazione di tutte le cose in Cristo. Certi che tutto coopera al bene di quanti amano Dio (cf. Rm 8, 28), possiamo confidare perciò che, nello slancio di riforma, al di là delle cause seconde, è all’opera lo Spirito per provocare un ritmo continuo di morte e risurrezione, e così un rinnovamento, anzi una vera trasformazione della Chiesa, la Sposa che segue il suo unico Sposo.
La dimensione carismatica della Chiesa
Parlando della dinamica di riforma nella Chiesa, dobbiamo sempre tener conto che non siamo noi a “fare” la Chiesa, ma è il Risorto nella potenza dello Spirito Santo che ci precede. È Cristo che, col dono del suo Spirito, costantemente opera quale Capo – o meglio: quale Origine sempre presente – del suo Popolo, facendo dei molti e dispersi “un cuor solo e un’anima sola” (cf. At 4, 32), il suo Corpo che si esprime in una molteplicità di manifestazioni dello Spirito (cf. 1 Cor 12-13; Rm 12, 4-6; Ef 1, 23; Ef 4; Col 1, 18 ecc.). Lo Spirito Santo è il vero protagonista della riforma nella vita della Chiesa, in modo particolare attraverso i carismi che le consegna, anche in vista della sua missione.
Nell’anno dedicato allo Spirito Santo, durante la preparazione al Giubileo del 2000, Giovanni Paolo II, incontrando in Piazza San Pietro i movimenti ecclesiali e le nuove comunità, ha ricordato l’importanza decisiva dell’azione dello Spirito Santo nell’evento del Concilio Vaticano II: “Sempre, quando interviene, lo Spirito lascia stupefatti. Suscita eventi la cui novità sbalordisce; cambia radicalmente le persone e la storia. Questa è stata l’esperienza indimenticabile del Concilio Ecumenico Vaticano II,
durante il quale, sotto la guida del medesimo Spirito, la Chiesa ha riscoperto come costitutiva di se stessa la dimensione carismatica: ‘Lo Spirito Santo non si limita a santificare e a guidare il popolo di Dio per mezzo dei sacramenti e dei ministeri, e ad adornarlo di virtù, ma ‘distribuendo a ciascuno i propri doni come piace a lui’ (1 Cor 12, 11), dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali… utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa’ (LG 12)”[6].
I carismi portano un carico di rinnovamento, luce, santità, ardore come anche esperienze e forme di vita che aprono vie nuove di riforma per la Chiesa. Già al tempo del Concilio il teologo tedesco K. Rahner, ne aveva scritto. I carismi danno vita a movimenti di rinnovamento nella Chiesa. Avviene che le persone, quando incontrano un brano di Chiesa che, grazie alla presenza di Cristo fra gli uomini, è veramente comunione, avvertono uno spontaneo richiamo e cominciano ad aprirsi al messaggio del Vangelo.
Infatti, nella Chiesa esiste una bipolarità fra l’aspetto istituzionale e quello carismatico che plasma il popolo di Dio per corrispondere meglio ai disegni di Dio su esso. Per cui papa Wojtyla afferma: “L’aspetto istituzionale e quello carismatico sono quasi co-essenziali alla costituzione della Chiesa e concorrono, anche se in modo diverso, alla sua vita, al suo rinnovamento ed alla santificazione del Popolo di Dio”[7].
Tre giorni prima, nel suo Messaggio al congresso mondiale dei movimenti, aveva affermato similmente: “Ambedue sono co-essenziali alla costituzione divina della Chiesa fondata da Gesù, perché concorrono insieme a rendere presente il mistero di Cristo e la sua opera salvifica nel mondo”[8].
Durante il suo incontro coi vescovi del Portogallo, nel maggio 2010, a Fatima, Benedetto XVI ha ribadito quest’aspetto di rinnovamento legato ai movimenti: “Qualcuno potrebbe dire: ‘la Chiesa ha bisogno di grandi correnti, movimenti e testimonianze di santità…, ma non ci sono!’. Vi confesso la piacevole sorpresa che ho avuto nel prendere contatto con i movimenti e le nuove comunità ecclesiali. Osservandoli, ho avuto la gioia e la grazia di vedere come, in un momento di fatica della Chiesa, in un momento in cui si parlava di ‘inverno della Chiesa’, lo Spirito Santo creava una nuova primavera, facendo svegliare nei giovani e negli adulti la gioia di essere cristiani, di vivere nella Chiesa, che è il Corpo vivo di Cristo. Grazie ai carismi, la radicalità del Vangelo, il contenuto oggettivo della fede, il flusso vivo della sua tradizione vengono comunicati in modo persuasivo e sono accolti come esperienza personale, come adesione della libertà all’evento presente di Cristo”[9].
Conclusione
Possiamo dire che la Chiesa è “semper reformanda” per alcuni motivi.
Primo, poiché noi uomini siamo peccatori, la Chiesa ha sempre bisogno di un rinnovamento istituzionale.
Secondo, perché la Chiesa è inserita nella storia, in un cammino progressivo che prepara la venuta e la manifestazione definitiva del Risorto, abbiamo incessantemente bisogno di lasciarci rigenerare dalla Parola di Dio, dai sacramenti, e dalla luce nuova che sprigiona dai carismi.
Terzo, la dinamica di riforma non è semplicemente un impegno nostro. Non siamo noi a fare la Chiesa. La Chiesa stessa di sua natura è una realtà dinamica. È Cristo, lo Sposo della Chiesa, nella potenza dello Spirito Santo, che guida la sua Sposa verso la pienezza della verità, per farla diventare sempre più ciò che è: la Chiesa “tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata” (Ef 5, 27). E lo Spirito Santo è il Protagonista di quella realtà dinamica, quindi, di continua riforma, anche grazie ai carismi elargiti sul popolo di Dio, che è la Chiesa una santa cattolica apostolica.
[1] Commissione Teologica Internazionale, Memoria e Riconciliazione, 4.
[2] Giovanni Paolo II, Catechesi nell’udienza generale, in L’Osservatore Romano, 2 settembre 1999.
[3] G. Bedouelle, Storia illustrata, Città Nuova, Roma 2004, p. 8.
[4] Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al V simposio del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, 2 ottobre 1982.
[5] Cf. Benedetto XVI sull’ermeneutica della continuità con cui va letto il Concilio Vaticano II, come “riforma” e non come “rivoluzione”: Discorso alla Curia Romana, 22 dicembre 2005.
[6] Giovanni Paolo II, Veglia di Pentecoste, 30 maggio 1998.
[7] Ibid..
[8] Id., Messaggio al congresso mondiale dei movimenti, 27 maggio 1998. Nello stesso congresso, l’allora card. Ratzinger in una sua conversazione su I movimenti ecclesiali e la loro collocazione teologica non aveva esitato a parlare di questi ultimi come di un aspetto della successione apostolica della Chiesa.
[9] Benedetto XVI, Discorso ai vescovi del Portogallo, 13 maggio 2010.