Perché il Daesh non viene sconfitto?

L’interrogativo è d’obbligo visto che l’esercito iracheno non riesce a recuperare Mosul. La frustrazione sunnita

Ad inizio dicembre mi ero recato nella Piana di Ninive a poche miglia del fronte di battaglia tra esercito iracheno (sostenuto da numerose milizie sciite, curde e finanche cristiane, e logisticamente aiutato dagli statunitensi). Si udivano esplosioni in lontananza, ma tutti i militari interrogati erano più che fiduciosi: la caduta dell’Isis era questione di qualche settimana. Ma il recupero dei territori persi nel 2014-2015 dallo Stato iracheno ad opera del cosiddetto Califfato s’è arenato a Mosul, dove è stata sì recuperata la riva orientale del fiume Tigri, ma quella destra è ancora saldamente nelle mani del Daesh, anche se l’aeroporto internazionale (nei sobborghi sud-occidentali della città), sembra in procinto di passare agli iracheni.

Diverse sembrano le ragioni dell’attuale fase di stallo, alcune delle quali più evidenti, altre forse inconfessabili. Le cause più evidenti sono strategico-militari. La prima è che l’esercito iracheno non è al top dell’efficienza, e lo si sapeva, nonostante l’impegno di addestramento di statunitensi ed europei. La seconda è che comunque l’Isis, attraverso le piste misteriose del deserto, continua a ricevere rifornimenti provenienti soprattutto dalla penisola arabica. Terzo motivo la massiccia presenza di civili in città, che rallenta le operazioni militari. Quarta ragione sta nella grande reticenza della Turchia ad attaccare le postazioni dell’Isis, concentrata com’è sul fronte settentrionale, per evitare che si possa creare uno Stato curdo. Infine, non ultima, la difficoltà di saldare le diverse anime di coloro che almeno a parole vorrebbero la sconfitta del Daesh: russi, iraniani, statunitensi, turchi, Assad… chi riuscirà mai a metterli assieme?

Eppure queste ragioni non bastano a spiegare l’impasse di Mosul. Ci sono due altre ragioni meno confessabili. Prima: nella regione cresce una frustrazione profonda tra i sunniti, che si vedono emarginati nella conduzione dello Stato iracheno, dalla risorgenza di Assad e dalla tenuta degli Hezbollah in Libano, mentre nel Nord stesso del territorio controllato dal Daesh le milizie iraniane collaborano nella lotta contro l’Isis. Tale frustrazione provoca una strenua difesa delle posizioni attuali del Daesh che, va ricordato, è composto esclusivamente da sunniti. Seconda ragione sta nella paura dei Paesi occidentali, in caso di sconfitta del Daesh, di vedere defluire verso Europa e altre nazioni una gran quantità di combattenti-terroristi, non solo foreign fighters, cioè i combattenti “europei” che sono andati a combattere in Siria e Iraq, ma anche di tanti locali che improvvisamente si ritroverebbero senza lo stagno nel quale nuotavano.

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