Perché crediamo ai complotti
Il 4 dicembre 2016 il 28enne Edgar Welch entra nella pizzeria Cometa Ping Pong di una cittadina della Carolina del Nord (Usa) sparando con un fucile d’assalto. Ha letto sui social dei suoi “amici” che nella pizzeria ci sono bambini tenuti schiavi da una banda di pedofili ispirata da Hilary Clinton e altri democratici. Si sente un eroe, vuole liberarli. Quando scopre che non c’è nessun bambino prigioniero, è stupito, si arrende alla polizia e confessa di essere dispiaciuto, ma sicuro che qualche complotto comunque deve esserci.
Il 19 maggio 2021, il quotidiano Repubblica pubblica la lettera di Domenico: 57enne novax convinto, non si è mai vaccinato perché la storia della pandemia deve essere per forza una bufala inventata dai politici per controllare la società. Poi prende il contagio da Covid, viene ricoverato in terapia intensiva, l’impegno di medici e infermieri gli salva la vita. Adesso preme sulle persone che conosce perché si vaccinino al più presto.
Due casi molto diversi, ma utili per riflettere: perché crediamo così facilmente ai “complotti mondiali”, mentre facciamo fatica a fidarci di scienza e istituzioni? È chiaro che il mondo è pieno di gente corrotta, violenta, che ruba, che mente, che cerca il potere a tutti i costi, che accumula i soldi per i propri interessi. Ma una cosa è lottare per la giustizia, altro è credere a qualsiasi notizia che gira sui social, specialmente se piena di contraddizioni, malizia e logica traballante. Perché accettiamo idee che sfidano l’intelligenza e il buon senso, ragionamenti chiaramente falsi, dove ogni cosa viene letta come prova di qualcosa o del suo contrario?
Paura
Questi mesi di pandemia hanno messo in evidenza alcuni comportamenti tipici degli esseri umani. L’emozione primaria è la paura: se mi trovo di fronte a cambiamenti che sembrano minacciare il mio stile di vita, il primo meccanismo di difesa è negarli. Dietro la negazione c’è la paura per la salute (mia e dei miei cari), il lavoro, la sicurezza economica, le relazioni. Magari anche solo il timore di perdere la faccia, la stima degli altri. Se la verità è troppo dolorosa da sopportare, cerchiamo di attaccarci a falsità confortanti, a bugie consolatorie.
Quando il mondo è troppo complesso e temiamo di perdere il controllo della nostra vita, facilmente diamo la colpa dei nostri fallimenti a nemici esterni, a poteri forti che condizionano malignamente la nostra vita per i loro interessi. Ripetiamo a noi stessi che siamo “vittime” di qualcosa, dubitando di tutto. In queste situazioni, la prospettiva complottista offre un perfetto capro espiatorio, perché fa sembrare il mondo semplice, comprensibile e controllabile. Gli eventi negativi della mia vita non dipendono dal caso, o dal mio comportamento, ma dai “nemici”.
Gli studi lo confermano: gli eventi negativi che i media ci sbattono ogni giorno davanti, favoriscono la crescita di emozioni che ci fanno credere nelle cospirazioni. È una conseguenza dell’ansia e della sensazione di non avere più voce in capitolo sulla propria vita. Chi si sente stressato, indesiderato, escluso, chi non apprezza il partito al potere, crede più facilmente alle teorie complottiste. Alla lunga, però, diventa sempre più impotente, in un circolo vizioso di comportamenti negativi.
Conformismo
In situazioni normali, per vivere serenamente cerchiamo di capire e dare un senso al mondo e agli avvenimenti. Ma se viene messa in discussione la nostra visione profonda del senso della vita, le basi più intime su cui abbiamo costruito la nostra identità, allora reagiamo in modo impulsivo. Abbiamo bisogno di una narrazione e di un sistema di riferimento etico che ci faccia sentire al “posto giusto” nel mondo. Quando questa sicurezza vacilla, cerchiamo disperatamente una risposta, magari in Rete, nei social. Il rischio è il conformismo.
Per sentirci accettati e compresi, infatti, cerchiamo persone che la pensano come noi. Tendiamo ad allinearci con le vedute della nostra rete sociale, perché avere un’opinione diversa dagli altri è faticoso, fa soffrire dal punto di vista emotivo. Non ci piace essere contraddetti, chi non la pensa come noi ci risulta antipatico.
Ricaviamo gran parte delle nostre convinzioni dalla testimonianza di persone di cui ci fidiamo, ma se proprio queste persone ci danno informazioni false, che diffondiamo a nostra volta, noi siamo fritti e in più “infettiamo” i nostri amici. Pian piano cominciamo a confondere realtà e fantasia. Anche perché più una notizia è strana e inverosimile, più tende a diffondersi facendo leva sullo stupore del lettore.
Campagne di disinformazione
Questi meccanismi alla base della psicologia umana sono ben conosciuti da coloro che organizzano sofisticate campagne di disinformazione, progettate facendo leva sul sentimento di appartenenza a una comunità.
«Presto le forze oscure potrebbero cercare di rintracciarti. Sai che un piccolo gruppo di manipolatori, che opera nell’ombra, tira i fili del pianeta. Sai che sono abbastanza potenti da abusare dei bambini, senza paura di essere puniti. Sai che i media mainstream sono loro complici e servitori. Sai che uno scontro tra bene e male non può essere evitato. E devi essere pronto a combattere». Questo è un esempio di frasi usate dalla teoria del complotto chiamata QAnon, molto di moda negli Usa e non solo (Mind 4/2021).
Una narrativa semplice, capace di individuare “il” nemico per ogni occasione, con lo scopo di seminare dubbi e creare un mondo in cui è difficile orientarsi: «Queste sono briciole, non potete immaginare il quadro completo!».
Fatti
È diventato famoso il modus operandi di certi gruppi negazionisti, che per contestare le raccomandazioni ufficiali relative al Covid o al clima o a qualsiasi cosa, usano un preciso metodo: mettono in dubbio i dati scientifici e l’onestà degli scienziati, esagerano eventuali disaccordi tra gli scienziati citando invece altri strani improbabili personaggi, alimentano la paura della gente esagerando gli effetti negativi (per esempio dei vaccini), riaffermano la libertà individuale di scelta, respingono per principio tutto ciò che contrasta con una certa posizione filosofica.
Fanno leva sul fatto che non siamo completamente razionali quando prendiamo certe decisioni. La nostra competenza, pur basata sui dati a disposizione, è influenzata dai nostri sentimenti. Le nostre paure possono farci perdere la serenità e la fiducia nelle istituzioni. Anche le persone più informate possono essere ingannate dalle emozioni: quando cerchiamo informazioni su un argomento, quasi sempre ci concentriamo su quelle che confermano le nostre opinioni. Una maggiore competenza, insomma, non garantisce la verità.
Stop
Come afferma qualcuno, siamo “animali emotivi”: usiamo la razionalità per giustificare decisioni che invece abbiamo già preso in base alle emozioni che ci dominano. Forse quest’ultima affermazione è po’ esagerata, ma certo conviene ogni tanto fermarci ad analizzare i nostri sentimenti. Se trattando un argomento di discussione mi agito, mi arrabbio, oppure sono troppo compiaciuto della mia idea, se sono così coinvolto da non riuscire a controllare le mie emozioni, allora forse è il momento di fermarmi un attimo. E riflettere.
Posso provare a fare l’avvocato del diavolo contro me stesso, cercare di guardare la situazione da un altro punto di vista, far sbollire l’agitazione, confrontarmi (serenamente) con chi la pensa diversamente da me (anche lui ha valori positivi che posso scoprire). Magari alla fine non cambierò la mia opinione, ma avrò l’altro, il suo punto di vista, dentro di me. Sarò allora più ricco, più lucido, più… sereno.