Perché chiude l’unica fabbrica italiana di autobus?
Partite le lettere di mobilità per i dipendenti di Fiat Irisbus in Irpinia. I lavoratori chiedono un piano nazionale dei trasporti pubblici
Anche Benedetto XVI lo scorso sette agosto nella preghiera dell’Angelus, oltre a pregare per la soluzione del conflitto in Libia e in Siria, aveva sentito la necessità di salutare i lavoratori della valle dell’Ufita, in Irpinia, arrivati fino a Roma per chiedere solidarietà di fronte alla decisione della Fiat Industrial di chiudere l’unico stabilimento di autobus esistente in Italia. I vertici aziendali hanno, infatti, preso atto che non esiste in Italia una politica dei trasporti pubblici in grado di sostenere l’acquisto di questi mezzi che verranno perciò prodotti, sempre dalla Fiat,ma in Francia e Slovacchia.
A lungo andare i tagli al trasporto pubblico, che finiscono per incentivare quello privato, hanno essiccato gli investimenti sul rinnovo del parco autobus provocando drammatiche conseguenze sociali in un Meridione che, vede già in continua crescita la disoccupazione. L’ultimo rapporto Svimez parla addirittura di «sottoutilizzazione di dimensioni abnormi del capitale umano formato che non ha neppure più la valvola di sfogo delle migrazioni».
Precise scelte di politica industriale avevano già provocato, intorno al 2000, la cessione da parte di Fiat del settore avanzato del trasporto ferroviario alla francese Alstom che ha, da poco, messo in liquidazione lo stabilimento di Colleferro, in provincia di Roma, mentre è di questi giorni la notizia del presidente Sarkozy che ha celebrato, nel suo viaggio a Tangeri In Marocco, la cosiddetta “primavera araba” con nuove forniture di treni ad alta velocità nei paesi del Maghreb, realizzati proprio dalla multinazionale d’Oltralpe.
Le lettere di messa in mobilità, l’inizio della procedura di licenziamento, per i lavoratori avellinesi sono partite inesorabilmente il tre ottobre dopo aver accertato il naufragare della soluzione di ristrutturazione con l’intervento della molisana “Dr Motors”, attiva nell’ambito di assemblaggio di automobili e che si era offerta di acquistare l’azienda per 19 milioni di euro.
Tutti gli osservatori sono concordi sul fatto che si può reagire al terremoto sociale che sta colpendo l’Irpinia (700 lavoratori a rischio disoccupazione più almeno 800 nell’indotto) solo con la riattivazione e finanziamento del piano nazionale dei trasporti urbani che, tuttavia, non si può improvvisare ma richiede un intervento strutturale di medio e lungo termine.
Nel frattempo i lavoratori con le loro famiglie manifestano la volontà di resistere chiedendo di essere sostenuti anche tramite versamenti su conti correnti aperti col nome “Pro Irisbus” presso le locali banche di credito cooperativo. In quella che sembra una situazione senza soluzione e senza una strategia di politica industriale non può essere cancellato il senso di prossimità e la solidarietà concreta.